Dal CIEMI di Parigi, il report 2020

Il Centre d’Information et d’études sur les Migrations Internationales di Parigi ha pubblicato il suo “Rapport d’activités 2020”, il documento sulle attività condotte durante il primo anno di pandemia

Il Centre d’Information et d’études sur les Migrations Internationales (CIEMI) di Parigi ha pubblicato il suo Rapport d’activités 2020, il documento sulle attività condotte durante il primo anno di pandemia.

Un anno di attività rimandate

Il CIEMI è uno dei sette Scalabrini Migration Study Centers (SMSC) nel mondo, realtà di studio interamente dedicate ad approfondire la comprensione della migrazione in tutti i suoi aspetti. Nel documento si parte anzitutto dal considerare la crisi sanitaria mondiale dovuta al covid-19 che, da marzo fino alla fine dell’anno, ha disturbato e sconvolto la vita del Centro, costringendolo a rivedere i suoi programmi.

«L’effetto della crisi sanitaria – si legge nel testo – è stato quello di segnare l’anno 2020 come un anno di attività rimandate». I progetti sono stati sviluppati online e sono in attesa di implementati. Tra questi, la realizzazione di scuole estive sull’esperienza dei migranti in cammino verso le loro destinazioni.

L’ultima preoccupazione

Ogni anno ha le sue crisi globali, di carattere economico, ecologico, finanziario, politico o migratorio. Molto spesso non si tratta di fenomeni nuovi ma già consolidati, che continuano ad essere trattati in modo inappropriato e a volte persino controproducente.

«Il panorama migratorio del 2020 – si legge ancora nel report – oltre a un confinamento globale che ha interessato più di 4,5 miliardi di persone in 110 paesi a causa della pandemia Covid-19, non si è discostato da questa constatazione: le decisioni, gli orientamenti e le politiche migratorie hanno continuato a seguire un vecchio schema, che tuttavia si è dimostrato poco efficace, con i migranti in quanto tali che sono di fatto l’ultima preoccupazione dietro le scelte fatte».

L’instabilità economico-politica nel mondo

Dal CIEMI di Parigi, il report 2020

Una grande fetta del Rapport d’activités 2020 passa quindi a considerare, continente per continente, le aree geografiche che rappresentano le principali zone di instabilità economica e politica. Analizzando i massicci movimenti di popolazione da una zona all’altra.

«Così, per alimentare le economie dei ricchi paesi del Golfo Persico, o le “tigri asiatiche” di Malesia, Singapore, Taiwan, Macao e Hong Kong, milioni di migranti lasciano i loro paesi dell’Asia meridionale, del Sud-Est asiatico e della costa orientale dell’Africa. L’Europa orientale, d’altra parte, è attualmente la principale fonte di lavoratori per le economie “avanzate” dell’Unione europea. Gli Stati Uniti continuano ad attrarre migranti da tutto il mondo, anche se in misura minore rispetto agli anni precedenti».

Il CIEMI: cos’è e cosa fa

Nella convinzione che, nel mondo delle migrazioni, l’improvvisazione, l’impulsività e il calcolo economico siano alla base di politiche e leggi inadeguate, di sprechi e di ripercussioni negative sui migranti e le società che li accolgono, il CIEMI si pone a metà strada tra la ricerca scientifica e l’impegno civile.

Attivo da oltre quarant’anni con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle migrazioni internazionali, presentandole come uno dei principali fattori di trasformazione della società, il Centro pubblica la rivista trimestrale Migrations Société. Grazie alla sua collezione documentaria composta da 36mila documenti e più di 95mila registri informatizzati, la biblioteca del CIEMI è un centro chiave per la ricerca sulla migrazione in Francia.

Le sue attività sono volte a una lettura del fenomeno migratorio, visto come un complesso meccanismo di interazioni, cause, effetti che interrogano le relazioni tra i popoli e le coscienze. Recentemente vi abbiamo proposto il contributo del centro all’International Migration Report dal titolo #UnaSolaCasa. L’umanità alla prova del Covid-19, l’articolo del direttore Luca Marin e Christine Pelloquin dal titolo loro Les migrants en France à l’épreuve de l’épidémie de la Covid-19 durant le “premier confinement”.