Il muro più alto
Apertura e rifiuto, moralismo e paura. Il più grande confine che i migranti devono superare? La mentalità e il cuore di ogni cittadino del vecchio continente. Le riflessioni di padre Gonçalves, vicario generale della congregazione scalabriniana
Secondo gli ultimi dati dall’inizio del 2015 sono entrati in Europa attraverso il Mediterraneo o i Balcani più di 432mila migranti. Solo l’11 settembre, per esempio, in 12mila hanno bussato alle porte dell’Ungheria. Di tutto questo contingente di migranti, rifugiati o profughi, sempre nel corso di quest’anno, più di 1.200 hanno perso la vita lungo la strada, inghiottiti dalle acque del Mediterraneo. Emblematico del sogno che diventa un incubo, il caso del caso del bambino morto fotografato sulla spiaggia.
Minacce e barriere
Due settimane fa hanno cominciato a circolare notizie sulla maggiore disponibilità all’accoglienza. Mentre l’Austria per esempio ha aperto il passaggio ai nuovi arrivati, il cancelliere tedesco Angela Merkel ha annunciato la disponibilità ad accettare i profughi dalla Siria. Con l’aumentare dell’afflusso di persone però, nuvole scure coprono il cielo e le strade dell’Ungheria che, al di là del trattamento energico e poliziesco di fronte alla crescente massa di migranti, sta portando a termine la costruzione del muro che la separa dalla Serbia. La Macedonia, a sua volta, minaccia di erigere un’altra recinzione al confine con la Grecia. Di conseguenza, crescono le barriere sulla rotta che comprende Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria e Austria.
Le contraddizioni però non si fermano qui. Da un lato, in diverse città d’Italia (e altri paesi) in questi giorni si moltiplicano marce civili a piedi scalzi per difendere i diritti degli immigrati, alle quali si aggiungono manifestazioni favorevoli delle autorità politiche, religiose e di alcune celebrità. Dall’altro lato, in particolare da parte dei gruppi e dei partiti di destra, si eleva la critica alla politica dell’accoglienza, in Italia come in Inghilterra, Danimarca, Polonia, Francia… Basti pensare ai fischi che hanno accompagnato durante la sua visita Angela Merkel, criticata a causa della tolleranza nei confronti dei rifugiati siriani.
La mia casa, il mio paese
Apertura e rifiuto si mescolano, moralismo e paura si tengono per mano. In generale, davanti alla valanga di notizie e soprattutto davanti ad alcune immagini scioccanti, la popolazione si rivela accogliente e tollerante. Nella pratica però, quando la questione tocca da vicino la mia casa o famiglia, la mia comunità o parrocchia, la mia città o comune emergono in diversi gradi sentimenti di discriminazione, pregiudizi e xenofobia. È chiaro che il più grande confine che i migranti devono superare non sono i muri che separano i paesi, ma la mentalità e il cuore di ogni cittadino del vecchio continente. Solidarietà e timidezza fanno oscillare la bilancia tra la visione dei migranti come minaccia o opportunità.
Stessa storia negli altri paesi. Si registra una certa apertura e addirittura simpatia quando si tratta di rifugiati politici in fuga da guerre, in particolare di quelli provenienti dalla Siria. Ma le porte si chiudono immediatamente per i cosiddetti migranti economici. Da qui la guerra mediatica e politica sulla terminologia da usare. La realtà è che, per gli uni e per gli altri, tornare ai paesi d’origine significherà probabilmente affrontare la morte. Per i primi, forse, una morte improvvisa; per i secondi, una morte col contagocce, date le precarie condizioni di sopravvivenza.
Da un lato, privazione della libertà di esprimere se stessi e di organizzarsi politicamente; dall’altro, privazione della terra, del lavoro, del cibo in tavola. Ma qual è la differenza? Entrambe queste carenze, prima o poi, compromettono l’integrità fisica, morale e mentale, la propria sopravvivenza, la vita e la dignità della persona umana.
Padre Alfredo J. Gonçalves