La nuova normalità del fenomeno migratorio

La riflessione del missionario scalabriniano padre Alfredo Gonçalves, vice presidente del Serviço Pastoral dos Migrantes (SPM) a São Paulo, in Brasile

I dati rivelano che la pandemia di coronavirus fa più danni tra i diversi gruppi etnici che vivono precariamente in paesi stranieri, colpendo in particolare gli immigrati privi di documenti. Le cose peggiorano quando questi immigrati sono vittime della rete criminale organizzata mondiale. Un recente rapporto delle Nazioni Unite richiama l’attenzione sull’impatto della pandemia di Covid-19 sulla tratta di esseri umani. Il documento avverte in modo testuale e puntuale: «Nel traffico di esseri umani, i criminali stanno adattando i loro modelli di business alla “nuova normalità” creata dalla pandemia, soprattutto attraverso l’abuso delle moderne tecnologie di comunicazione.

Allo stesso tempo, il covid-19 influisce sulla capacità delle autorità statali e delle organizzazioni non governative di fornire servizi essenziali alle vittime di questo crimine. Ancora più importante, la pandemia ha esacerbato e messo in luce le disuguaglianze economiche e sociali profondamente radicate, che sono tra le principali cause della tratta di esseri umani» (United Nations Office on Drugs and Crime – UNODC, Impact of the Covid-19 Pandemic on Trafficking in persons).

Ancora una volta, i primi a essere colpiti

Ironia della sorte, questa volta le maschere smascherano le massime disuguaglianze economiche e sociali. Il bilancio di aziende come Amazon, Microsoft e Apple, per citare alcuni esempi, ha registrato durante il flagello una crescita nel mercato azionario di un trilione di dollari.

Nel frattempo la pandemia lascia una scia di disoccupazione e sottoccupazione ovunque. E ancora una volta, gli stranieri sono i primi a essere colpiti. A causa della mancanza di documentazione debitamente regolarizzata o della mancanza di carenza di qualificazione professionale, molti di loro finiscono per cadere (o tornare) alle condizioni di lavoratori usa e getta.

Un “esilio duraturo

Per molti il problema è tornare a casa, come nel caso di centinaia di colombiani che hanno dovuto rimanere accampati all’aeroporto di Guarulhos di São Paulo per settimane. Non è diverso per gli studenti che si stanno laureando in altri paesi. Per quanto riguarda il dramma dei rifugiati – quelli che non possono tornare indietro, a causa del rischio di persecuzione e persino di morte – anche prima della pandemia il loro numero era aumentato negli ultimi anni.

Secondo la giornalista Flávia Mantovani, «il numero di persone che hanno lasciato le proprie case costrette da guerre, persecuzioni e crisi umanitarie nel mondo è quasi raddoppiato nell’ultimo decennio, passando dai 41 milioni del 2010 al record storico di 79,5 milioni nel 2019 – equivalente all’1% della popolazione mondiale. Allo stesso tempo, col perdurare di vecchi conflitti e l’emergere di nuovi, [solo] una piccola parte di loro è riuscita a tornare nel proprio paese – 3,9 milioni, rispetto ai quasi 10 milioni nel decennio precedente. Di conseguenza, la maggior parte si trova in una situazione di esilio duraturo».

Una serie di disastri prevedibili

Anno dopo anno, il fattore delle catastrofi climatiche si aggiunge alla violenza e alle crisi umanitarie di cui sono vittime. Mentre il pendolo climatico oscilla sempre più rapidamente tra le estremità dello spettro, i cosiddetti rifugiati climatici aumentano in proporzione. Siccità prolungate, uragani, tempeste atipiche e fuori stagione, inondazioni e frane – tra le altre catastrofi – sono il nefasto (e in qualche modo prevedibile e previsto) risultato del riscaldamento globale.

Inoltre esperti e ambientalisti hanno avvertito che lo sfruttamento predatorio e la devastazione dell’ambiente, da un lato, e l’emergere del Covid-19, dall’altro, non sono dissociabili gli uni dagli altri. Al contrario, con la distruzione del loro habitat naturale gli animali selvatici iniziano a vivere più vicini agli uomini, il che potrebbe spiegare la serie di nuovi virus emersa negli ultimi decenni (influenza aviaria, influenza suina, ebola, nuovo coronavirus, e così via).

P. Alfredo J. Gonçalves, cs