Megacrociere: un dietro le quinte che pochi conoscono
La vita dell’equipaggio di queste “città del mare”, vendute come paradiso per pochi, è molto faticosa. Ce la racconta padre Gabriele Beltrami, che insieme a padre Bruno Ciceri dell’Apostolato del Mare, ha fatto visita alla nave Britannia
Salire a bordo di una immensa nave da crociera è un’emozione che in molti desiderano provare almeno una volta nella vita. L’occasione di visitare la nave Britannia e il suo equipaggio si è presentata lunedì 3 luglio al porto di Civitavecchia, grazie a padre Bruno Ciceri, missionario scalabriniano e rappresentante del Settore dell’Apostolato del Mare per il nuovo Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale.
La piccola delegazione vaticana era formata da monsignor Robinson Wijesinghe, capo ufficio e incaricato del settore Studenti internazionali, dal diacono Roger Stone, cappellano del porto di Southampton in Inghilterra, da padre Bruno e dal sottoscritto. Provate, dunque, a immaginare per un attimo cosa si muova dietro le quinte di un gigante dei mari, una mega-nave come la Britannia, appunto tra le più grandi al mondo.
Una piccola città galleggiante
Questa imbarcazione conta come membri dell’equipaggio oltre 1.300 persone, alle quali vanno aggiunti gli oltre 3.500 ospiti. Aggiungete le dovute considerazioni socio-culturali e psicologiche e i conti sono presto fatti: ci troviamo di fronte a una piccola cittadina viaggiante, autosufficiente, con regole scritte e non, che offre una pausa dalla vita ordinaria per alcuni e ritmi costanti e serrati di lavoro per altri.
Qui tutti parlano inglese anche se, a ben guardare volti e nazionalità, il panorama è multilingue, con abitudini alimentari, culturali e religiose assai diverse. Spazi immensi e lussureggianti che però, solo oltrepassando una porta vicina alle altre, si spalancano su un’umanità sommersa, raramente immaginata dal passeggero medio o da un occasionale visitatore come il sottoscritto. Quel che succede dietro le quinte è l’esempio di un moderno formicaio umano: nei labirinti e cunicoli per l’equipaggio di bordo ci si può perdere facilmente.
A-Deck e B-Deck
Si incontrano continuamente volti nuovi e di solito sorridenti anche se indaffarati a rispettare il piano di lavoro e riposo previsto per ciascuno. Le cabine di chi lavora a bordo, poi, sono situate sotto la linea di galleggiamento, che in gergo viene a volte chiamato B-Deck, solitamente da due a quattro occupanti, mentre l’A-Deck si trova al di sopra tale linea e ospita gli ufficiali, tutti in cabina singola (nella maggior parte dei casi).
Nella visita ci sono stati mostrati anche gli spazi dove l’equipaggio può rilassarsi e che sono a loro uso esclusivo: una mensa e un club dove nessun passeggero può entrare (faccio un po’ fatica a immaginare 1.300 e più persone o anche la metà in questi spazi delimitati), una palestra, ma anche spazi esterni dedicati, sebbene di dimensioni davvero minime, con piscina e lettini per prendere il sole, dove pochi però si recano.
Scendere è fondamentale
In ogni caso, seppur ridotti, questi luoghi sono fondamentali: si tratta degli unici spazi dove una gran parte dello staff (non potendo girare liberamente per la nave, come invece possono fare gli ufficiali e pochi membri dello staff) può godere un po’ di relax a fine turno. Dopo un lavoro di dodici ore (anche se non sempre di fila), senza feste comandate, sabati o domeniche che tengano, anche un bugigattolo o un tempo striminzito diventano il paradiso. Ed ecco pure perché lo scendere ogni tanto dalla nave è davvero importante: i piedi sono di nuovo sulla terraferma, si cambia aria, quella che nelle lavanderie non circola un granché, e si gode del sole che sotto quella famosa linea di confine tra i ponti non splende mai.
Se vitto e alloggio sono garantiti dall’azienda, i collegamenti internet e la lavanderia (tranne per la divisa) sono invece a pagamento. Lo stipendio varia dai 50 ai 350 dollari mensili (sempre che si arrotondi con le mance). Ad occhi abituati ad accontentarsi anche di poco, come quelli di un personale proveniente principalmente dai paesi asiatici, possono sembrare un certo gruzzolo (anche perché al cambio lo stipendio è comunque convienente). Agli occhi dei lavoratori europei, però, certe cifre non destano alcun dubbio…
Eucaristia nel teatro
Con alcuni di loro, ottanta per la precisione, coloro che hanno resistito alla stanchezza e che avevano qualche ora libera, abbiamo celebrato l’Eucaristia nel teatro sfarzoso della nave, con tanto di coro e di devota partecipazione. I volti che abbiamo di fronte sono come quello del 24enne (il più giovane, dice lui stesso) che ci ha ringraziato e si è augurato che si ripeta presto; oppure quello di un papà il cui figlio di tre anni è affetto da epilessia e che ha affidato anche alle nostre preghiere; o ancora si tratta di alcune ragazze che accennano piccoli passi di danza, liberatoria, e che sorridono se incrociate dai nostri sguardi.
A tutti è stata rivolta una parola d’incoraggiamento, soprattutto pensando alle famiglie lontane, e diversi si sono avvicinati chiedendo una speciale benedizione sulla propria vita e su quella dei propri cari. Dai pochi ma significativi racconti di chi lavora a bordo della Britannia emerge l’orgoglio di far parte della flotta e di poter regalare momenti indimenticabili agli ospiti. Certo è che, se si va a toccare il piano più personale, viene a galla anche la difficoltà di vivere dai sei ai nove mesi l’anno un’esperienza umana e sociale come quella a bordo. Si nota come lo sguardo fugga altrove, certamente vicino a quanto di più caro si porta nel cuore; o come la routine lavorativa e dei perenni sorrisi lasci brevemente spazio anche alla condivisione di dolori personali.
Ho visitato, insomma, una città in miniatura. Rientrato nella mia quotidianità, sono sempre più convinto che c’è ancora qualche essere umano i cui diritti troppo spesso vengono calpestati da logiche di mercato e di profitto; che il benessere che inseguiamo, e di cui godiamo anche in certe vacanze, pesa sulle spalle solo di alcune persone; che il cuore degli uomini, specie dei più piccoli, è capace di sogni grandi e di un’incrollabile speranza se trova spazio per pulsare.
Padre Gabriele Beltrami