Padre Zerai: «Ho agito sempre alla luce del sole e in piena legalità»

Da anni il sacerdote eritreo è impegnato nel salvataggio dei migranti che rischiano la vita per attraversare il Mediterraneo. Quella stessa solidarietà che gli è valsa nel 2015 la candidatura al Nobel, ora gli viene contestata dall’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina

«Posso affermare in tutta coscienza di non aver nulla da nascondere e di aver agito sempre alla luce del sole e in piena legalità». È quanto si legge nel comunicato stampa che padre Mussie Zerai ha pubblicato l’8 agosto 2017 tramite Habeshia, l’agenzia per la cooperazione allo sviluppo di cui è fondatore.

Prima la Guardia Costiera, poi le Ong”

Il sacerdote eritreo, da anni impegnato nel salvataggio dei migranti che rischiano la morte attraversando il Mediterraneo, è indagato dalla procura di Trapani per favoreggiamento all’immigrazione clandestina. L’accusa, rivoltagli da due addetti della security imbarcati sulla nave Vos Hestia di Save the Children, è di aver fatto da tramite con i trafficanti e le Ong.

«Nell’ambito del mio operato in favore dei profughi e dei migranti – continua padre Zerai, che proprio per il suo lavoro nel 2015 è stato candidato al premio Nobel per la Paceho inviato segnalazioni di soccorso all’UNHCR e a Ong come Medici Senza Frontiere, Sea Watch, Moas e Watch the Med. Prima ancora di interessare le Ong, ogni volta ho informato la centrale operativa della Guardia Costiera italiana e il comando di quella maltese».

Dunque nessun contatto con la nave Iuventa né con la Ong Jugend Rettet, chiamata in causa nell’inchiesta della procura di Trapani; né, tantomeno, nessuna chat segreta. Piuttosto: «È vero che di volta in volta ripeto la segnalazione anche via mail, ma anche questo è dovuto a una indicazione che ho ricevuto nel 2011 dal comando centrale della Guardia Costiera».

A Mediterranean 911

Da anni padre Zerai riceve richieste di aiuto da barconi in difficoltà al largo delle coste africane dopo ore di navigazione pericolosa (e «non da battelli in partenza dalla Libia, ovvero al momento di salpare», prosegue il comunicato). Il suo numero di telefono infatti «è scritto sui muri delle prigioni in Libia», riportava già nel 2014 sul New Yorker lo staff writer Mattathias Schwartz, che definisce il contatto del sacerdote «a Mediterranean 911».

Si moltiplicano nel frattempo le manifestazioni di sostegno al sacerdote da parte di realtà, quotidiani e agenzie italiane e straniere. Non ultima, arriva la dichiarazione di due europarlamentari, Barbara Spinelli e Marie-Christine Vergiat. Anche in riferimento alla vicenda del contadino francese Cédric Herrou (condannato a quattro mesi con condizionale), chiedono all’Unione europea di interrompere la campagna diffamatoria verso coloro che, aiutando i migranti e i rifugiati, non violano la legge ma rispondono a un preciso dovere morale e umanitario.