Si è conclusa la Summer School sul rapporto tra migrazioni e religione
Dal 22 al 25 luglio 2019 si è svolta a Shënjin, in Albania, la decima edizione dell’iniziativa di formazione sul fenomeno migratorio che vede tra i suoi promotori anche lo Scalabrini International Migration Institute (SIMI)
Dal 22 al 25 luglio 2019 si è svolta a Shënjin, in Albania, la decima edizione della Summer School su Mobilità umana e giustizia globale avente per tema e rivolta a quanti sono impegnati a vario titolo sul fronte delle migrazioni,della cooperazione allo sviluppo e della pastorale delle migrazioni.
Nei quattro giorni di lavori, scanditi da interventi di studiosi ed esperti, da laboratori, visite e testimonianze, è stato approfondito il rapporto tra migrazioni e religione, considerando anche l’influenza che quest’ultima esercita nelle scelte di vita dei migranti e delle loro famiglie, in quanto straordinaria risorsa a sostegno dei processi di integrazione e convivenza.
«La religione nei processi migratori è spesso interpretata come un’ostacolo all’integrazione, come una causa di conflitto nell’ambito della convivenza sociale»ha dichiarato Laura Zanfrini, docente di Sociologia delle migrazioni all’Università Cattolica del Sacro Cuore, e direttrice della Summer School «qui è stata presentata nella sua dimensione di sostegno ai percorsi di integrazione, come fattore che concorre a creare una cittadinanza nuova, libera dalle incrostazioni nazionalistiche, basata sul confronto delle idee e sui processi partecipativi».
Promotori dell’iniziativa di formazione, l’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con lo Scalabrini International Migration Institute (SIMI), la Fondazione Migrantes, la Fondazione ISMU e l’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo (ASCS Onlus). Vediamo nel dettaglio alcuni degli interventi che hanno animato le giornate formative.
22 Luglio 2019: Zanfrini e Beltrami
Nella prima giornata di lavori Laura Zanfrini ha aperto il panel Migrazioni e appartenenze religiose con una relazione dal titolo Non di solo pane. Mentre nel pomeriggio padre Gabriele Beltrami, missionario scalabriniano e direttore dell’Ufficio Comunicazione Scalabriniani (UCoS) ha condotto il laboratorio narrativo/giornalistico La religione nelle storie di vita dei migranti, prima della visita guidata al Castello di Lezha, al Memoriale di Shkanderbeg e alla Campana della Pace.
La religione: “un credo per resistere di fronte alle difficoltà”
Partendo dalle conseguenze che derivano all’Europa dall’aver sempre pensato la migrazione solo in funzione del suo apporto come forza lavoro (“illusione di natura temporanea del fenomeno; trattamento differenziale dei migranti; impatto economico con conseguente negazione di diritti”) Zanfrini è passata ad analizzare lo scenario contemporaneo, che «ci obbliga a considerare anche le migrazioni forzate con casistiche nelle richieste di protezione sempre più distanti dal tipo ideale descritto dalla Convenzione di Ginevra. (…)
La religione può essere causa diretta o indiretta della migrazione (…) per il migrante è un credo per resistere di fronte alle difficoltà, una fonte di identità per cui delimita un limite oltre il quale non è consentito andare poter non perderla, un modo di vita, modello di comportamento e di migrazione facile da “emulare”».
23 Luglio 2019: Valtolina e Skoda
Nel secondo giorno di lavori si sono succeduti Giovanni Giulio Valtolina, responsabile del settore Minori e famiglia della Fondazione ISMU, e padre Aldo Skoda, missionario scalabriniano e preside dello Scalabrini International Migration Institute (SIMI). Per gli studenti c’è stata poi la possibilità di visitare la parrocchia di Santo Stefano dedicata ai Beati Martiri Albanesi, e le strutture produttive della missione di Blinisht.
Un veicolo di integrazione
«Negli ultimi trent’anni si è notato che le famiglie migranti mantengono una chiara identità religiosa invece di immergersi nella società secolarizzata (una società multiculturale che starebbe vivendo un tempo post-religiosa) ipso facto – ha dichiarato Valtolina nel suo intervento di apertura al panel Famiglia, migrazione e religione – Nei genitori la separazione dal paese d’origine, a causa della migrazione, è un tema ricorrente, con una sensazione di estraneità, all’arrivo in Italia, ancora presente. (…)
«Un paradosso: da un lato si nota un declino dell’importanza dell’appartenenza religiosa degli autoctoni, dall’altra c’è una sacralizzazione dei legami sociali per le famiglie migranti. La religione funge allora o da mantenimento e trasmissione di una appartenenza etnica e identitaria o diviene un veicolo per favorire l’integrazione (con sostanziali differenze, ad esempio, tra il mondo nord-americano e il mondo europeo)».
La testimonianza della persecuzione
Alla relazione di Valtolina ha fatto seguito la testimonianza di padre Skoda, che parlato del tentativo di uccidere Dio condotto in passato in Albania. «Dopo la seconda guerra mondiale inizia la persecuzione del clero e della Chiesa cattolica, minoranza nel paese, ma attiva e vivace. La privazione della libertà religiosa da parte del regime comunista è stato il primo atto per poi colpire ogni altra libertà conseguente.
«Quello che succede con la chiesa Cattolica non è un moto spontaneo anticlericale, ma una sorta di ingegneria sociale progettato nei minimi termini per colpire tale realtà e creare “l’uomo nuovo”, concetto tipico della filosofia marxista.
«In Albania la stessa architettura delle città è stata privata delle strutture di piazza o di luoghi storici e di culto, in un’autocrazia che deve continuamente ricordare l’unico punto di riferimento ossia “l’uomo nuovo”, libero da qualsiasi alterità o riferimento religioso. Fallito il tentativo di separare la chiesa albanese da Roma il dittatore Oxa opta per un piano che prevede di colpire i pastori per disperdere le pecore. Incarcera e sevizia vescovi, preti, suore e laici controllando anche le comunicazioni che avvenivano con il Vaticano, ma anche pubblicazioni e trasmissioni».
24 Luglio 2019: Santagati
Il terzo giorno di lavori si è aperto con il contributo di Mariagrazia Santagati, docente di Sociologia dell’educazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore. È poi proseguito con la visita guidata a Scutari e con gli incontri con i leader spirituali di diverse tradizioni religiose: Hozha Durim (moschea di Scutari), padre Nikolla (cattedrale ortodossa di Scutari), suor Sonia delle clarisse, custodi delle carceri della Sigurimi (luogo di tortura in attesa della sentenza definitiva), monsignor Angelo Massafra (cattedrale cattolica di Scutari), suor Rosa e suor Maria (tra le ultime testimoni viventi del martirio della chiesa albanese).
Un fattore di coesione e di supporto
«Quale è il rapporto tra religione ed educazione? La religione influisce sulle carriere di vita, sul successo dei nativi e dei migranti e la sua pratica è predittiva di esiti scolastici migliori, più alte aspettative educative come pure la possibilità di accedere ad un capitale sociale e culturale prezioso» ha dichiarato Santagati nella sua relazione introduttiva al panel La religione nei processi di educazione alla cittadinanza.
«La religione è un fattore di coesione, supportando l’inclusione e migliorando il grado di integrazione. Essa può essere però anche un indicatore di “social divide”, fonte di conflitti tra maggioranze e minoranze, una dimensione sociale che andrebbe quasi “neutralizzata”.
«Gli studi europei sulle scuole multiculturali trascurano la religione sia per quanto riguarda gli studi quantitativi sia nelle ricerche qualitative. La presenza, però, di alunni con background multiculturale e diversa appartenenza religiosa pone la questione: l’Istat stima 850mila studenti (10%) in Italia con una maggioranza di minori stranieri cristiani (60,4%) rispetto a musulmani (30%), ad esempio.
«Il conflitto nel processo di integrazione non è negativo in sé, ma è dinamica costitutiva della società ed ha una funzione ambivalente, da un lato disgregante, dall’altro può essere trasformativo».
25 Luglio 2019: Baggio
L’ultimo giorno di lavoro ha visto anche la partecipazione di padre Fabio Baggio, missionario scalabriniano e sottosegretario della Migrants & Refugees Section. Nel pomeriggio la tavola rotonda finale, organizzata dalla Conferenza Episcopale Albanese e avente per tema Le migrazioni come occasione profetica, con interventi di eminenti personalità della Chiesa cattolica, della Chiesa ortodossa e della Comunità musulmana.
“Mettere le religioni in dialogo”
«In ogni fase migratoria è presente la dimensione religiosa: dal primo pensiero di mettersi in viaggio (il processo di discernimento) fino al viaggio vero e proprio. L’arrivo e la permanenza testimoniano anch’essi un riferimento alla dimensione religiosa – ha dichiarato padre Baggio nella sua relazione introduttiva al panel Il dialogo interreligioso come risorsa per le società nazionali e per la comunità internazionale».
«Il dialogo interreligioso ci pone di fronte ad un bivio: semplicemente relegare la religione nella sfera privata o invece integrare, con tempi più lunghi sicuramente, la dimensione religiosa nella costruzione della società. La storia ci impone di rivedere le posizioni assunte e scelte compiute nei secoli in nome della fede.
«Oggi, perciò, di fronte al contesto multireligioso che rappresenta il presente e il futuro delle nostre società risulta necessario mettere le religioni in dialogo, invece di misconoscerle. Esse e sempre la storia lo dimostra sono più resistenti di ogni tacitazione o persino tentativo di eliminazione totale, come desiderato qui in Albania, ad esempio».
Gli interventi della Summer School 2019
L’Europa storicamente interpreta la migrazione come importazione di forza-lavoro. Da questi nodi irrisolti derivano tre conseguenze: illusione di natura temporanea del fenomeno; trattamento differenziale dei migranti; fenomeno economico con conseguente negazione di diritti.
Oggi le società europee si scoprono multietniche e multireligiose: ciò rimette in discussione il concetto e la realtà stessa della società. È un effetto inatteso e forse indesiderato.
Larga parte della immigrazione in Europa vive condizioni di disagio o svantaggio strutturale, da qui l’interpretazione della religione vissuta in maniera analoga. Risulta contraddetta la visione laicista che, ad esempio nell’interpretazione di studiosi francesi, riteneva integrata una persona quando abbandonava la propria religione.
Questi processi sono costruiti socialmente e nei contesti variano: l’esperienza americana ha sperimentato come anche il fattore religioso può essere fattore di costruzione dell’integrazione, in una funzione di bridging. La religione è vista come funzionale al rispetto delle norme sociali.
Il contesto Europeo invece legge la religione come fattore di bonding per sostenersi nelle difficoltà e in casi estremi come fattore di auto-segregazione.
In Europa prevale una mentalità secolarizzata e la religione è considerata un fattore privato.
Una ricerca in corso da parte della Università Cattolica del Sacro Cuore intende leggere l’esperienza del migrante, metterla al centro, prendendo le distanze da stereotipi e vedendo come queste persone si presentano attraverso il loro percorso e soggettività religiosa. Questo, ne è convinta la ricerca, contribuisce a creare lo spazio pubblico.
Varie le questioni nella ricerca e che toccano anche una prospettiva giuridica: l’esibizione dei simboli religiosi nei gli spazzi pubblici, l’educazione religiosa a scuola e la possibilità di scuole confessionali, diritti religiosi in una società pluralistica, il criterio di reclutamento e di formazione di leader religiosi, diritti etnici, tema spinoso che tocca una differenziazione del principio fondativo di uguaglianza di fronte alla legge.
Lo scenario contemporaneo però ci obbliga a considerare anche le migrazioni forzate con casistiche nelle richieste di protezione sempre più distanti dal tipo ideale descritto dalla Convenzione di Ginevra. Certamente il riconoscere diritti di protezione nuovi dice molto quale tipo di società siamo ora o vogliamo essere.
La ricerca suddetta mostra come i fattori di spinta e di attrazione nel migrare sono oggigiorno operati anche dalle affiliazioni religiose o da organizzazioni di ispirazione religiosa: ciò avviene come è ovvio per fini virtuosi , ma anche per casi di sfruttamento e di tratta di esseri umani. La religione poi può essere causa diretta o indiretta della migrazione: diretta quando si scappa per conflitti e persecuzioni a base religiosa, quando si è vittima di interpretazioni radicali di determinati precetti; indiretta quando i fattori religiosi sono mischiati a fattori etnico- razziali, culturali, politici o economici.
La religione per il migrante è un credo per resistere di fronte alle difficoltà, una fonte di identità per cui delimita un limite oltre il quale non è consentito andare poter non perderla, un modo di vita, modello di comportamento e di migrazione facile da emulare.
La sfida teologico pastorale che ne deriva per la Chiesa sollecitano a riflettere su culture e politiche migratorie e sul ruolo della religione, come pure uno serie di sfide quali quella identitaria (chance per dialogo interreligioso), spirituale (chance di sviluppo di ecumenismo), pastorale (chance di capacità autoriflessiva).
Motivo della ricerca svolta nello scorso triennio dalla Università Cattolica sul tema (Zanfrini, Migrazioni e appartenenza religiosa, 2018) è che negli ultimi trent’anni anni si è notato che le famiglie migranti mantengono una chiara identità religiosa invece di immergersi nella società secolarizzata (una società multiculturale che starebbe vivendo un tempo post-religiosa) ipso facto.
Il bisogno di trascendenza però si esprime ancora anche in questa società secolarizzata: nel fare riferimento a forme irrazionali di credenza o in nuovo forme di misticismo.
Un paradosso: da un lato si nota un declino dell’importanza dell’appartenenza religiosa degli autoctoni, dall’altra c’è una sacralizzaizone dei legami sociali per le famiglie migranti.
La religione funge allora o da mantenimento e trasmissione di una appartenenza etnica e identitaria o diviene un veicolo per favorire l’integrazione (con sostanziali differenze, ad esempio, tra il mondo nord-americano e il mondo europeo).
La trasmissione dei valori religiosi può avvenire in linea di massima per via semantica (la famiglia trasmette il significato di un dato valore, come l’aiutare gli altri), una via ibrida (la famiglia promuove la scelta libera del figlio/a) e per parole chiave (concetti come rispetto, ad esempio, vengo declinati differentemente a seconda del contesto sociale e geografico nel quale si usano).
In Francia una ricerca del 2016 di Beauchemin ha affrontato il tema della religiosità nelle famiglie migranti francesi: a fronte di una famiglia religiosa corrisponde un 80% dei figli che sviluppa sentimenti religiosi; se la famiglia è agnostica/atea, solo un 7% sviluppa sentimenti religiosi.
La stessa ricerca mostra come ci siano differenze nella disaffezione o distanziamento dei figli dalla religione dei genitori: più alta nei buddisti (30%), in mezzo i cristiani (26%), meno nei musulmani (11%). Analizzando tutta la popolazione in Francia invece si nota come il 25% dei figli siano più secolarizzati dei genitori, il 67% dei figli abbiano lo stesso orientamento religioso dei genitori, mentre il 7% siano più religiosi dei genitori.
Una ricerca analoga in Italia (Caneva e Pozzi, 2014) sulla trasmissione della fede tra madri e figli cristiani (dell’Europa orientale) e musulmani ha mostrato, ad esempio, come la religione sia elemento chiave della identità e insieme di valori e integrità morale (madri e figli musulmani) mentre sia una questione personale, una guida morale (madri e figli cristiani).
La già citata ricerca della Università Cattolica (Zanfrini, 2018) ha inoltre evidenziato come nei genitori la separazione dal paese d’origine, a causa della migrazione, è un tema ricorrente, con una sensazione di estraneità, all’arrivo in Italia, ancora presente. Anche il tema del martirio a seguito di esperienze di persecuzione nel paese d’origine è visto come un destino, una testimonianza, addirittura come un elemento che rafforza l’appartenenza alla storia millenaria della propria comunità (caso dei cristiani copti). La religiosità diviene una strategia per sviluppare resilienza a fronte della persecuzione. Inoltre nelle famiglie copte è emerso con chiarezza come la trasmissione della fade sia atta a garantire continuità all’esperienza della Chiesa e assicurare obbedienza alla chiesa madre in Egitto e ai suoi insegnamenti. Cinque le parole chiave emerse nella parte più giovane degli intervistati dalla ricerca: paura, violenza, libertà, libertà religiosa, futuro.
Dopo la seconda guerra mondiale inizia la persecuzione del clero e della chiesa cattolica, minoranza nel paese, ma attiva e vivace: la privazione della libertà religiosa da parte del regime comunista è stato il primo atto per poi colpire ogni altra libertà conseguente.
Quello che succede con la chiesa Cattolica non è un moto spontaneo anticlericale, ma una sorta di ingegneria sociale progettato nei minimi termini per colpire tale realtà e creare l’uomo nuovo, concetto tipico della filosofia marxista.
L’azione portata avanti dalla Sigurimi, agenzia di sicurezza all’epoca, attaccava la religione e i valori religiosi. Viene inoltre insinuato il sospetto costante di essere spiati e denunciati, un grande fratello che creava un sentimento di paura costante, minando la fiducia reciproca e la sicurezza sociale in una comunità.
La stessa architettura delle città viene privata delle strutture di piazza o di luoghi storici e di culto, in un’autocrazia che deve continuamente ricordare l’unico punto di riferimento ossia l’uomo nuovo, libero da qualsiasi alterità o riferimento religioso.
Fallito il tentativo di separare la chiesa albanese da Roma il dittatore Oxa opta per un piano che prevede di colpire i pastori per disperdere le pecore. Incarcera e sevizia vescovi, preti, suore e laici controllando anche le comunicazioni che avvenivano con il Vaticano, ma anche pubblicazioni e trasmissioni.
La persecuzione sfocia però anche in gesti di pacifica resistenza che non assecondano in nessun caso la volontà del regime e che porterà a migliaia di morti nella comunità cattolica. Questo diverrà segno di speranza per la gente e la popolazione che mantiene la fede in segreto nella propria casa. La fede nella persecuzione continua a germogliare: le nonne insegnato ai nipoti le preghiere, ma li vincolano a recitarle solo di notte e in loro presenza. Tale esperimento di ingegneria sociale è però fallito anche per le variegate forme di resistenza e resilienza del popolo albanese che ha mantenuto la fede.
La dimensione religiosa nelle nuove generazioni presenta innanzitutto un inceppamento nella trasmissione, una privatizzazione della scelta religiosa fino ad un cattolicesimo flessibile, in una mescolanza che può minare lo scenario in cui i giovani si muovono.
Quale è il rapporto tra religione ed educazione? La religione influisce sulle carriere di vita, sul successo dei nativi e dei migranti e la sua pratica è predittiva di esiti scolastici migliori, più alte aspettative educative come pure la possibilità di accedere ad un capitale sociale e culturale prezioso.
La religione è un fattore di coesione, supportando l’inclusione e migliorando il grado di integrazione. Essa può essere però anche un indicatore di social divide, fonte di conflitti tra maggioranze e minoranze, una dimensione sociale che andrebbe quasi neutralizzata.
Gli studi europei sulle scuole multiculturali trascurano la religione sia per quanto riguarda gli studi quantitativi o nelle ricerche qualitative. La presenza, però, di alunni con background multiculturale e diversa appartenenza religiosa pone la questione: l’Istat stima 850mila studenti (10%) in Italia con una maggioranza di minori stranieri cristiani (60,4%) rispetto a musulmani (30%), ad esempio.
Il conflitto nel processo di integrazione non è negativo in sé, ma è dinamica costitutiva della società ed ha una funzione ambivalente, da un lato disgregante, dall’altro può essere trasformativo.
Anche nella scuola si vive questa dualità, ma la dimensione istituzionale unita ad una dimensione relazionale (tra pari e con gli insegnanti) porta a un integrazione scolastica di successo.
Nella ricerca già citata (L. Zanfrini, Immigrazione appartenenza religiosa, Università Cattolica, 2018) si ipotizzava che la religione può essere fonte promuovente la integrazione o causare inevitabili conflitti, ma la gestione del conflitto fa la differenza.
Gli interrogativi cruciali posti nel fuoco della ricerca sono stati l’identità, la libertà, la cittadinanza e il bene comune esaminati attraverso il metodo del focus group con 74 ragazzi, da un lato, e con 69 docenti e genitori, dall’altro.
I risultati circa l’identità hanno mostrato come per i ragazzi l’appartenenza religiosa resta privato, del quale non si parla per non rischiare di essere esclusi magari dal gruppo, così come per gli adulti che la giudicano una questione delicata ed individuale, scegliendo una presunta neutralità.
La ricerca poi si è concentrata sul concetto di conflitto, lasciando che fossero ragazzi e adulti a descriverlo: episodi gestiti tra pari nel caso dei ragazzi, mentre gli adulti hanno segnalato una differenziazione maggiore tra gli attori coinvolti (studenti, docenti e genitori). Sembra che appaia un divide generazionale tra studenti ed adulti: gli uni protagonisti del conflitto, gli altri spettatori; gli uni vedono la dimensione religiosa come legata alla costruzione dell’anno propria identità, gli altri come non rilevante a scuola.
Prevale negli adulti una lettura di separazione identitaria che, come sfida, necessita di una ricomposizione e negli studenti una attenzione maggiore a elementi culturali e religiosi che provocano p inevitabili conflitti che bisogna imparare a gestire.
In ogni fase migratoria è presente la dimensione religiosa: dal primo pensiero di mettersi in viaggio (il processo di discernimento) fino al viaggio vero e proprio.
Esempi riguardo alla partenza sono gli Ayunos (digiuni) in Guatemala, dei pellegrinaggi in Messico o i riti propiziatori dei Gkaleca in Sud Africa.
Casi riguardanti il viaggio possono ritrovarsi nei boat people vietnamiti, la nota Josepha raccolta naufraga in mezzo al mare che ha testimoniato un affidamento costante alla preghiera verso la Madonna proprio nei giorni del naufragio o la Jungla di Calais in Francia con la presenza di luoghi di culto in vere e proprie baraccopoli di transito.
L’arrivo e la permanenza testimoniano anch’essi un riferimento alla dimensione religiosa. Lo studioso C. Hirshman e le sue tre R: ci si sente al Rifugio, ossia la religiosità è spazio di sicurezza di fonte alle difficoltà; in questa dimensione si sperimenta il Rispetto, come spazio d’identità, riconoscimento e identificazione di fronte alla discriminazione e al senso d’inferiorità; il fattore Risorse indica le possibilità di ricevere empowerment, risposta a diversi bisogni anche in contesti di accompagnamento religioso.
Il dialogo interreligioso ci pone di fronte ad un bivio: semplicemente relegare la religione nella sfera privata o invece integrare, con tempi più lunghi sicuramente, la dimensione religiosa nella costruzione della società.
La storia ci impone di rivedere le posizioni assunte e scelte compiute nei secoli in nome della fede. Oggi, perciò, di fronte al contesto multireligioso che rappresenta il presente e il futuro delle nostre società risulta necessario mettere le religioni in dialogo, invece di misconoscerle. Esse e sempre la storia lo dimostra sono più resistenti di ogni tacitazione o persino tentativo di eliminazione totale, come desiderato qui in Albania, ad esempio.
Alla ricerca dei valori comuni per costruire società plurali, aperte ed integrate ci sono esempi come il Parliament of World’s Religions che ha prodotto un codice etico propugnato perché il dialogo sia effettivo.
In un mio studio ho evidenziato sei punti fondamentali:
- il rispetto dei diritti umani,
- la promozione della dignità,
- la superiorità del bene comune,
- la destinazione universale dei beni,
- la gestione globale della terra,
- la cittadinanza universale.