“Vidas en Vilo”: trent’anni di accoglienza migranti a Tijuana
Un testo del direttore della Casa del Migrante messicana raccoglie le storie dei migranti internazionali alla frontiera con gli USA

Il 4 aprile 1987 padre Flor María Rigoni, missionario scalabriniano in Messico, pose a Tijuana la prima pietra di quella che sarebbe poi diventata la Casa del Migrante, punto di riferimento per migliaia di persone in transito. A trent’anni di distanza il servizio di accoglienza è più attivo che mai continua a rinnovarsi, adattandosi ai cambiamenti migratori e alle esigenze dei propri ospiti.
Un aiuto completo ai migranti
«Oggi non è più sufficiente fornire ai migranti cibo e riparo per un massimo di due mesi – spiega padre Pat Murphy, direttore della Casa del Migrante – ma occorre rispondere alla richiesta di un aiuto umanitario completo». Come quella delle centinaia di haitiani che, a seguito di un moto migratorio causato dal disastroso terremoto del 2010, dallo scorso maggio hanno cominciato a raggiungere in massa la frontiera statunitense, tristemente nota per il suo muro lungo più di mille kilometri.
O come quella delle migliaia di deportati (oltre 7mila nel 2016) che, dopo aver vissuto negli USA per una vita intera, sono stati rispediti oltre il muro per le ragioni più diverse. Sono innumerevoli le richieste e le storie che meritano di essere raccontate e che sono state raccolte dai volontari della Casa del Migrante in oltre tre decenni di attività. Molte di queste è ora possibile leggerle in un libro, Vidas en vilo. Historias y testimonios de migrantes internacionales, scritto proprio da padre Patrick Murphy, (“a Good Irishman who feels at home in Mexico”, come si autodefinisce) e che a proposito della stesura del testo non lascia spazio a equivoci: «È stato Donald Trump ad obbligarmi a scriverlo».