Profeti credenti e credibili

Nella sua lettera per l’Anno della Vita consacrata, padre Alessandro Gazzola, superiore generale dei missionari scalabriniani, riflette sull’attualità del carisma

La “tremenda attualità” delle migrazioni e l’esemplarità di tante nostre intuizioni e iniziative pastorali collocano la nostra Congregazione nel cuore della Chiesa, e nel cuore di tanti crocevia internazionali in cui si decidono le sorti di tanti migranti.

Questa una delle prime battute di Profeti credenti e credibili, l’ampia lettera che padre Alessandro Gazzola, superiore generale dei missionari scalabriniani, ha diretto principalmente ai suoi confratelli impegnati nel mondo delle migrazioni in occasione dell’Anno della Vita consacrata.

I giovani confratelli da tutto il mondo

In essa riveste grande speranza «l’innesto di forze giovani e nuove, provenienti da nuove culture». Si tratta dei giovani confratelli, risorsa e al tempo stesso sfida, che richiamano la famiglia religiosa scalabriniana all’autenticità e alla fedeltà al carisma. Una grazia necessaria a sviluppare le «intuizioni di quello straordinario uomo di Dio e della Chiesa che è stato il nostro beato Fondatore».

Conoscere per amare, come il beato Scalabrini, vescovo “appassionato di Dio”

Occorre essere profeti, come richiama il titolo della lettera, come lo fu il beato Scalabrini, vescovo di Piacenza, il quale, «appassionato di Dio, vicino a Lui, a partire da Lui, ha potuto godere e usufruire di una visione alta e ampia delle cose”, caratteristica di chi si fa “voce di Dio».

Profezia e credibilità, continua padre Gazzola «hanno una radice chiara: la fede nel Signore… coltivata nella fedeltà e perseveranza, a sostenere la testimonianza; una fede alimentata dalla Parola e dalla preghiera, da scelte coerenti, anche a costo di grandi sacrifici e rinunce personali».

La prima e insostituibile strada per amare è il conoscere, come ricorda sant’Agostino. L’invito accorato è quello di «servirsi dei numerosi strumenti a nostra disposizione che ci possono aiutare a conoscere, amare e imitare maggiormente il nostro Fondatore». Sarà questo il collante, la motivazione centrale per un passaggio autentico di testimone alle nuove generazioni di missionari.

Nessuna utopia, solo la logica del dono e della fraternità

Occorre però anche una credibilità che apra le porte e doni efficacia al parlare e all’agire, insiste il padre generale, evidenziando ancora il tema della lettera: credibilità, quindi, sempre «in sintonia con le nostre scelte concrete nel quotidiano». Pena, il non prendere atto che la cosiddetta società liquida contemporanea investe anche i religiosi, i quali rischiano di ridursi a non essere più sale della terra e luce del mondo ma di risultate non solo insignificanti ma addirittura inutili.

Non si tratta di tenere vive delle utopie, come ha ricordato papa Francesco nella sua lettera apostolica in occasione di questo Anno della Vita Consacrata, ma di creare altri luoghi, in cui si viva la logica evangelica del dono, della fraternità, della diversità, dell’amore reciproco.

Verso il bene dei migranti più bisognosi

L’obbedienza, fondamento di tutta la vita consacrata, cresce nell’ascolto che conduce alla verità, unendo alla Chiesa, alla comunità, alla vita. La povertà, ricorda padre Gazzola, è come un tesoro accanto al quale il cuore sceglie liberamente di dimorare. La castità, infine, è prendere coscienza che «il cuore detta leggi al nostro vivere» e anima il servizio che viviamo con i migranti.

La tensione missionaria forma un tutt’uno con la consacrazione, conclude il padre generale, ed è un fronte sul quale la congregazione scalabriniana si sta misurando ogni giorno: non si tratta infatti semplicemente di andare lontano, ma di dilatare il cuore verso il bene dei migranti, avendo «concretamente e coerentemente il desiderio di andare lì dove c’è maggior bisogno», acquisendo se è necessario culture assai diverse dalla propria.

È questa la sfida rivolta alla vita consacrata scalabriniana, provocazione più che attuale in un mondo che predilige e incita la separazione in fazioni invece di erigere ponti di dialogo, che nello sguardo rivolto solo su di sé fatica ad incontrare altri compagni di cammino il volto di un fratello.