Si è svolta anche la seconda delle tre Giornate SIMI 2019
Per il ciclo di conferenze sul tema“Governare la paura”, il 21 marzo si è parlato della strumentalizzazione della religione per seminare incertezza e della prospettiva del dialogo interreligioso
Giovedì 21 marzo 2019 si è svolto il secondo appuntamento con le Giornate SIMI 2019, che lo Scalabrini International Migration Institute – SIMI ha organizzato a Roma in collaborazione con la Fondazione Centro Studi Emigrazione di Roma (CSER) e Casa Scalabrini 634. Si tratta di una serie di incontri per ascoltare gli interventi di studiosi ed esperti sui vari aspetti del fenomeno migratorio e della sua percezione.
Le Giornate SIMI si svolgono nell’arco di quattro mesi, da febbraio a maggio, e hanno quest’anno per tema Governare la paura, intendendo per paura il sentimento di insicurezza che ostacola la solidarietà verso i migranti. Gli appuntamenti di quest’anno (21 febbraio, 21 marzo e 9 maggio 2019) si svolgono tutti nella sede scalabriniana di Via Dandolo 58 a Roma.
Nell’incontro del 21 marzo moderato da Claudio Paravati, direttore del mensile di religioni, politica e società Confronti e intitolato “In nome di Dio…”, gli interventi hanno riguardato l’uso della dimensione religiosa per seminare incertezza e paura, per poi passare a considerare la prospettiva offerta del dialogo interreligioso. I relatori erano l’Imam Yahyâ Sergio Yahe Pallavicini, Luigi De Salvia e don Paolo Boschini.
Imam Yahyâ Sergio Yahe Pallavicini: “La disgrazia è dimenticare chi siamo”
«La disgrazia si ha quando perdiamo la memoria della nostra identità» ha dichiarato l’Imam Yahyâ Sergio Yahe Pallavicini, della Comunità Religiosa Islamica Italiana – COREIS.
«Quando ciò accade perdiamo la memoria che, in quanto religiosi, noi siamo al servizio di una responsabilità verso Dio, che è il portatore della pace e della grazia. Se dimentichiamo o se applichiamo una non-memoria o un’anti-memoria a questa dimensione, degeneriamo e siamo gli artefici non soltanto della nostra disgrazia ma anche della disgrazia altrui.
«In una religione come quella islamica, in cui né omicidio né suicidio sono permessi, pensare che in nome del Dio islamico si possa addirittura uccidere se stessi per uccidere altri non ha nessuna legittimità tradizionale ed è un segnale di inversione del santo nome di Dio, che è Allah nell’Islam, in un’ottica perversa».
Paolo Boschini: “Abbiamo un problema di risorse”
«Dobbiamo riconoscere che il vero grande problema di noi occidentali è un problema di risorse. E noi le risorse per mantenere il livello della società così com’è adesso non le abbiamo – ha detto Paolo Boschini, docente della Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna – Quindi dobbiamo continuare ad andare a “rubarle”, perché è questa la parola che dobbiamo usare, in casa di altri.
«Perché non parliamo del terrore che “armate” regolari di mercenari più o meno europei stanno seminando in tanti paesi dell’Africa? Perché togliendo il velo della vergogna noi dobbiamo riconoscere che tante volte anche questa violenza che, per quanto sia perversione della religione, è una violenza di risposta. Noi occidentali non siamo solo le vittime della violenza, molte vole siamo stati i primi a perpetuarla per generazioni».
Luigi De Salvia: “Prendiamoci cura del nostra stare insieme”
«Prendersi cura di qualcuno è faticoso ma dà anche gioia – così Luigi De Salvia, presidente di Religions for Peace Italia – e protegge dalla fuga di fronte alle situazioni difficili perché si fa esperienza che il bene è possibile.
«Questo stare insieme, che non va idealizzato però è importante perché ci aiuta un po’ tutti a guarire dalla supremacy religiosa e culturale. Siamo tutti corresponsabili, sia quando abbiamo minimizzato il pericolo e il rischio sia quando li abbiamo amplificati.
«Questo stare insieme, lavorare insieme, mostrare i valori positivi che possono accomunarci è molto diverso dal pacifismo ideologico, che ha sempre qualcuno da attaccare. Le nostre paure non finiranno, come non finirà la possibilità di amarsi. Manteniamoci pronti a prenderci cura di ogni nuova sofferenza dello stare insieme. Manteniamo un approccio della cura».