La detenzione e la persona umana
Il 29 aprile un profugo iraniano è morto dopo essersi dato fuoco nel centro di detenzione di Nauru, in Australia. L’appello di padre Maurizio Pettenà, missionario scalabriniano e direttore dell’Australian Catholic Migrant and Refugee Office
Vorrei innanzitutto esprimere le mie sincere condoglianze agli amici, alla famiglia e alla moglie di Omid Masoumali, dopo la sua tragica morte avvenuta venerdì 29 aprile 2016. È di particolare preoccupazione che, solo pochi giorni dopo, una seconda persona, una giovane donna somala di nome di Hodan Yasin, si sia data alle fiamme dopo essere tornata a Nauru dall’Australia. Ora è in condizioni critiche in un ospedale di Brisbane.
Sta diventando sempre più chiaro: la salute mentale di chi è rimasto nel limbo a causa della detenzione e della mancanza di risoluzione per il suo status di immigrazione si sta deteriorando a un ritmo allarmante.
Le persone di cui l’Australia dovrebbe prendersi cura nei luoghi di detenzione, sono lasciati a una spirale in disperazione.
La dignità della persona umana deve essere portata in primo piano nella discussione sui richiedenti asilo, sui rifugiati e sulla detenzione. Un dibattito in cui è attualmente ignorata. Invito tutti a promuovere la dignità della persona umana in tutti gli aspetti della vita, non solo perché apparteniamo a una famiglia umana, ma perché Gesù ci dice: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
Padre Maurizio Pettenà