Chi si ferma è salvato
Solo nel silenzio si può ascoltare la parola viva, che crea e libera, che consola e riaccende la speranza. Senza questa sosta – ci dice padre Gonçalves nella sua ultima riflessione sul profeta Elia – il pellegrino non ha la forza per riprendere il cammino
«… è troppo lungo per te il cammino»
Mangiare e festeggiare per tornare sulla pista. La mensa e l’altra da una parte, la strada e le sue numerose sfide dall’altra: due facce della stessa medaglia. Il cibo e l’eucaristia rinvigoriscono il pellegrino che riprendere la strada perché «un lungo cammino» da percorrere (cfr. 1Re 19,7) . La fatica del viaggio, a sua volta, richiederà nuovi momenti si sosta e di riposo. Si va formando una dialettica crescente tra il difficile compito di camminare e l’allegra compagnia dei fratelli nel pasto e l’eucaristia. In entrambi i casi, la presenza del Signore dà senso all’esistenza del pellegrino e del profeta.
Il testo biblico dice che Elia «si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb» (1Re 19, 8). Il numero simbolico di quaranta giorni e quaranta notti richiama, retrospettivamente, i quaranta anni durante i quali il popolo di Dio ha camminato nel deserto. In prospettiva, anticipa il periodo in cui anche Gesù sarà nel deserto, prima di essere tentato dal diavolo e iniziare la sua attività pubblica. In altre parole, il passaggio diventa inospitale e piena di avversità ma è comunque fruttuoso. Conduce alla riflessione, alla conversione e all’incontro con il Signore sulla montagna di Dio.
La montagna di Dio
La montagna di Dio, in aggiunta al tavolo e all’altare, è un altro tipo di stop per il silenzio e l’ascolto. Il silenzio e l’ascolto come terreno fertile e privilegiato in cui nasce e si consolida la parola viva, creativa, liberatrice, la parola che consola e riaccende la fiamma della speranza. Senza questa fermata silenziosa e attenta per il discernimento della volontà di Dio, tanto il pellegrino quanto il profeta sono veicoli non di una parola nuova e vitale ma piuttosto di un gran numero di parole vuote. Solo ristorati dal silenzio rivestito della Parola di Dio entrambi avranno la forza per riandare in strada.
Si delinea così un ulteriore trinomio di elementi inscindibili dalla montagna, dalla casa e dal cammino: a) la preghiera, la meditazione e la contemplazione, la ricerca di intimità con il Signore e dell’armonia con il suo piano di salvezza; b) la mensa e l’altare dell’Eucaristia, capaci di restituire il significato più profondo all’esistenza; c) il cammino e il deserto, che rappresentano la lotta per la sopravvivenza da parte del migrante e l’azione pastorale di un volontario.
Sono le tre dimensioni di una stessa dinamica, tutte presenti nell’uomo di Nazareth: a) presenza frequente di fronte a Dio, che Gesù chiama amorevolmente Abba (Babbo); b) la moltiplicazione dei momenti di convivialità con i poveri e gli emarginati, gli esclusi e i peccatori del suo tempo; c) l’attività itinerante per «le città e i villaggi», dove il Maestro sente compassione per le folle «stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,35-38). Ciascuna dimensione rinforza e allo stesso tempo è rinforzata dalle altre. La montagna e la mena/altare permettono al pellegrino e al profeta di riprendere il percorso e questo, a sua volta, richiede la frequentazione regolare di Dio e dei fratelli, sia nella vita comunitaria sia nella celebrazione.
Siamo tutti pellegrini
Camminare fa parte della condizione umana. E dura per tutta la vita. Siamo tutti pellegrini, marciatori sulla faccia della terra. Abbiamo una lunga strada da percorrere. Da qui la necessità di intervallare il viaggio con intensi momenti di sosta, di preghiera, di riflessione e di festa. La lunga strada dovrebbe essere costellata di stazioni di rifornimento, altrimenti sarà impossibile attraversare il deserto. Le stazioni di rifornimento non ostacolano né paralizzano la marcia, ma danno nuovo vigore missionario.
La cosa più importante è rendersi conto che il Signore è attento. Durante la schiavitù d’Egitto dimostra di essere sensibile alla condizione del suo popolo, vede la sua miseria, ascolta il suo grido e conosce le sue sofferenze. Per questo scende e lo libera dall’oppressione e dalle grinfie del Faraone (cfr. Es 3,7-10). Commina con lui sulle strade dell’esodo, nel deserto dell’esilio e della diaspora. Poi, sulle strade della Galilea, mostra il suo volto risplendente, misericordioso e compassionevole per i malati, i piccoli, gli indifesi, i sofferenti. E preferisce gli ultimi. Offre il perdono, nuove opportunità a peccatori pentiti. Quando è necessario manda i suoi angeli con pane e acqua, per rinvigorire le energie di coloro che sono in marcia e di quelli che li accompagnano. «Non abbiate paura – dice il Signore risorto – io sono con voi fino alla fine dei tempi».
Padre Alfredo Gonçalves