Global Compact sui rifugiati: le sfide in Africa

Un articolo pubblicato sul Journal on Migration & Human Security analizza le difficoltà di applicazione del patto internazionale nell’Africa sub-sahariana, dove i conflitti costituiscono la causa principale dello sfollamento forzato

In tutto il mondo lo sfollamento forzato continua a rappresentare una grande sfida per la sicurezza umana. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nel 2018 la popolazione globale di sfollati forzati è aumentata di 2,3 milioni di persone arrivando alla fine dell’anno a un totale di oltre 70 milioni di individui costrette a migrare per vivere.

Nel loro articolo intitolato Building Blocks and Challenges for the Implemetation of the Global Compact on Refugees in Africa, i ricercatori Sergio Carciotto e Filippo Ferraro analizzano le sfide nell’applicazione del Global Compact on Refugees in Africa.

Carciotto è independent consultant alla University of the Western Cape, mentre Ferraro è executive director dello Scalabrini Institute for Human Mobility in Africa (SIHMA). L’articolo è stato recentemente pubblicato sul Journal on Migration & Human Security del Center for Migration Studies di New York.

Una cornice comune, ma non vincolante

Come noto, il Global Compact on Refugees è una risoluzione internazionale concordata nel dicembre 2018 dagli Stati membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per trasformare la risposta agli esodi e alle crisi dei rifugiati, a vantaggio sia degli stessi rifugiati che delle comunità che li ospitano. In particolare, il patto si propone quattro obiettivi: allentare le pressioni sui paesi ospitanti, favorire l’autosufficienza dei rifugiati, ampliare l’accesso a soluzioni di paesi terzi e sostenere nei paesi di origine le condizioni per il ritorno in sicurezza e dignità.

È un modo per esortare la comunità internazionale a far fronte alla difficile situazione dei rifugiati cambiando radicalmente la concezione degli aiuti umanitari. Ma è un accordo non vincolante, che fornisce una cornice comune agli stati del mondo senza obbligare nessuno di essi ad agire in un certo modo. Il rischio, è stato più volto notato, è quindi quello che i suoi principi servano solo come guida per una serie infinita di discussioni.

Dal sistema di assistenza allo sviluppo di soluzioni

Nel loro articolo, Carciotto e Ferraro esaminano da vicino le prospettive per il Global Compact on Refugees nell’Africa sub-sahariana, dove la situazione di sfollamento forzato presenta diverse sfide socioeconomiche e politiche che la comunità internazionale deve necessariamente affrontare se si vuole ridurre il numero di persone bisognose di protezione internazionale.

Qui il principale motore del fenomeno rimangono in conflitti: cinque delle undici situazioni che l’UNHCR ha classificato come emergenze rifugiati si trovano infatti in paesi che sono teatro di guerre: in conflitto, vale a dire Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Nigeria, Sud Sudan e Burundi.

Il patto potrebbe permettere il passaggio da un sistema umanitario di assistenza e manutenzione a uno disviluppo di risposte complete ed efficaci alle crisi dei rifugiati. Concentrandosi in particolare sulla situazione in Ciad, Gibuti, Etiopia, Kenya, Ruanda, Somalia, Uganda e Zambia in Africa, l’articolo passa in rassegna alcune esperienze e buone pratiche per promuovere un approccio basato sulla resilienza, così da identificare le sfide chiave e mettere in evidenza i risultati e le iniziative promettenti nell’area sub-sahariana.

I vantaggi per tutti

«La capacità del Global Compact on Refugees di promuovere una ripartizione un’equa delle responsabilità – scrivono gli autori – dipende dalla disponibilità di fondi del settore pubblico e privato, il che può aumentare le opportunità economiche per i rifugiati e le popolazioni locali.

Le soluzioni dovrebbero essere specifiche per ogni paese, così che si evitino tensioni tra le popolazioni sfollate e le comunità di accoglienza, e dovrebbero inoltre rafforzare l’autosufficienza dei rifugiati soprattutto in situazioni di sfollamenti prolungati. (…) ad oggi, i paesi africani si presentano come attori virtuosi e affidabili, e le soluzioni in essi sperimentate possono condurre a progetti di successo e a collaborazioni tra stati, istituzioni e organizzazioni della società civile anche in altre aree del mondo».