L’industria migratoria

Tra crisi umanitarie visibili e invisibili, la produzione di armi e la concentrazione della ricchezza alimentano la macchina dell’esodo. Tornano le riflessioni di padre Gonçalves, vicario generale della congregazione scalabriniana

Dal punto di vista delle autorità nazionali e internazionali, la migrazione di massa è generalmente vista come una crisi umanitaria. Si parla di crisi umanitaria, ad esempio, quando migranti di varie nazioni sub-sahariane o del Medio Oriente vanno in Libia e cercano di attraversare il Mediterraneo. O quando i siriani, i curdi e altri popoli, a milioni, si concentrano in Turchia con la speranza di spostarsi verso l’Europa attraverso la rotta balcanica.

O quando i sudamericani e i centroamericani spingono al confine tra il Guatemala e il Messico o sulla frontiera tra Messico e Stati Uniti, cercando di raggiungere l’Eldorado nordamericano. E anche quando i venezuelani, sempre più numerosi e in una situazione sempre più precaria, tentano di raggiungere il territorio brasiliano o colombiano cercando un’alternativa al caos del proprio paese.

Oltre 220 milioni di migranti

Queste sono le crisi umanitarie più visibili nella parte occidentale del mondo. Altre, meno note, potrebbero essere individuate all’interno del continente africano, dove un certo numero di paesi mostra ferite e cicatrici prodotte da tensioni, conflitti e guerre e da condizioni di vita inumane. Lo stesso vale per i paesi del continente asiatico, dove indiani, filippini e indonesiani cercano nuove opportunità nelle cosiddette Tigri Asiatiche e negli Emirati Arabi Uniti.

Crisi umanitarie che, insieme, fanno registrare circa 220 milioni di migranti senzatetto che vivono fuori dal paese in cui sono nati, con oltre 25 milioni di persone riconosciute come rifugiati. Fuggitivi e famiglie che scappano dalla violenza, dalla povertà, dalla miseria e dalla fame sognando e combattendo per un futuro meno minaccioso. Ma la domanda è: fino a che punto questa fuga può diventare una nuova ricerca, dove il sogno diventa realtà?

Concentrazione di ricchezza e produzione di armi

Tutto ciò rivela l’ampiezza del ritratto e la mappa della mobilità umana nel mondo di oggi. L’immagine, tuttavia, è molto più complessa e diversificata. Dietro il fenomeno visibile e numerico di questo viaggio senza fine, senza meta e talvolta senza pretese che porta i migranti ad accamparsi e ad andare alla ricerca di un altro luogo, ci sono fattori perversi.

Tra questi fattori, è possibile evidenziare due cause di carattere mondiale: da un lato, la concentrazione di ricchezza e reddito, che allo stesso tempo concentra la povertà e l’esclusione sociale; dall’altro lato, la produzione, il commercio e l’uso di armi, in un circolo vizioso che non si stanca mai di seminare o risvegliare conflitti dormienti, costringendo migliaia di civili a fuggire.

Un’economia “che uccide

La concentrazione di ricchezza e reddito come contropartita della povertà e dell’esclusione sociale è il lato visibile del mercato. La globalizzazione economica e la crescita a qualsiasi prezzo sono contaminate dal virus dell’ingiustizia e della disuguaglianza sociale. L’aumento della produzione e della produttività favorisce solo coloro che abitano al piano superiore della piramide sociale, lasciando gli abitanti alla base in disputa per le briciole. Ciò si traduce in un più alto livello di disoccupazione, sottoccupazione, lavoro temporaneo e migrazione.

Secondo l’enciclica Populorum Progressio di papa Paolo VI, la crescita pura e semplice, pur presentandosi come rimedio alla crisi, non produce uno sviluppo integraleEconomia che uccide, la chiama a sua volta papa Francesco.

Condanna all’esodo

I paesi che condannano la violenza e si rifiutano di accogliere rifugiati e rifugiati sono spesso coloro che traggono beneficio dall’industria bellica. Si scopre che l’economia che concentra ricchezza e povertà allo stesso tempo, è alleata al commercio di armi, creando una sorta di industria migratoria. I forti interessi dei paesi e delle multinazionali condannano milioni di persone all’esodo e alla ricerca di una terra che possa essere definita una patria.

Padre Alfredo J. Gonçalves