Da Manila, la testimonianza di padre Battistella: «Non basta aiutare il migrante, bisogna trasformare la struttura che asservisce il migrante»
Il missionario scalabriniano, impegnato con i migranti nelle Filippine, presenta l’attività dello Scalabrini Migration Center e il suo contributo alla comprensione del fenomeno della mobilità umana
Sono stato l’altro giorno nel nostro noviziato nel centro delle Filippine, lo Scalabrini Formation Center a Cebu. Mi hanno chiesto di presentare il lavoro dei centri studi. Formalmente, si tratta di un’esposizione facile. I centri studi della congregazione scalabriniana sono otto e, nonostante le peculiarità del posto e le esigenze della realtà migratoria di cui si occupano, hanno una struttura simile.
Un centro di documentazione, più o meno sviluppato e consultato, una rivista come strumento di diffusione degli studi, un settore di ricerca per conoscere aspetti poco conosciuti o che meritano revisione, un programma di conferenze a livello locale o internazionale, contributi confezionati per l’uso di chi lavora nella Chiesa con i migranti, la collaborazione con la società civile per spronare i governi verso politiche più rispettose della loro dignità.
Lo Scalabrini Migration Center: dal rapporto tra politiche di sviluppo e politiche migratorie all’insegnamento della teologia
Anche lo Scalabrini Migration Center (SMC) di Manila, che funziona da ventisette anni, ha questa struttura. La rivista si chiama Asian and Pacific Migration Journal, è nata con il centro e dal 2015 verrà realizzata in collaborazione con l’editore SAGE. Le ricerche in cui il centro è attualmente coinvolto riguardano il nesso tra politiche di sviluppo e politiche migratorie (in collaborazione con l’OCSE) e le similarità/differenze tra Asia ed Europa per quanto riguarda la migrazione temporanea.
Il lavoro di advocacy viene svolto con il Philippine Migrants Rights Watch. La serie di contributi di natura pastorale va sotto il nome di Exodus, un programma di formazione per chi lavora con i migranti in Asia. Inoltre, il centro coordina il programma di insegnamento di teologia delle migrazioni che viene svolto nella Loyola School of Theology.
“Cosa ci può essere di missionario nello studiare?”
Se l’esposizione del lavoro dei centri è semplice, più difficile è spiegare ai giovani la motivazione di questo lavoro e coglierne la dimensione missionaria. Cosa ci può essere di missionario nello studiare, scrivere articoli, fare conferenze? Gli articoli sono letti da pochi, i dibattiti sono noiosi e ripetitivi, i miglioramenti per i migranti sono pochi e lenti. Per fortuna che nel mio caso l’aiuto l’ho trovato semplicemente nel Fondatore. Scalabrini, quando ha cominciato a interessarsi di emigrazione, ha prima di tutto studiato, si è documentato, ha scritto articoli, è intervenuto in conferenze, ha agganciato la collaborazione di altri per migliorare la legge sui migranti.
Se questo è stato lo stile del Fondatore, questo deve essere lo stile dei suoi missionari. Non che tutti debbano mettersi a scrivere articoli e fare conferenze, ma tutti devono sentirsi coinvolti nella problematica locale sulle migrazioni. In questo senso, come scalabriniani, possiamo migliorare. Per essere missionari con i migranti non possiamo solo interessarci a loro, dobbiamo interessarci anche delle migrazioni. Non basta aiutare il migrante, bisogna trasformare la struttura che asservisce il migrante.
Ogni anno arrivano nelle Filippine 400mila nuovi migranti
Lo Scalabrini Migration Center ha sede nelle Filippine, un paese da dove ogni anno oltre 400mila nuovi migranti si aggiungono ai milioni che già si trova all’estero, e si interessa della migrazione in Asia. Questo vasto continente vede lo spostamento di milioni di lavoratori dal sud-est asiatico verso i paesi del Golfo, verso l’est dell’Asia e all’interno delle varie regioni. È una migrazione strettamente temporanea, con un contratto di lavoro che dura in genere due anni e che per essere rinnovato richiede il ritorno in patria. In tal modo, nessun lavoratore dequalificato ottiene i benefici sociali e la possibilità di rimanere sul territorio.
I migranti ottengono il lavoro attraverso la mediazione dei reclutatori, i cui servizi sono pagati dai migranti stessi invece che dai datori di lavoro. Nei paesi del Golfo sono in genere confinati in dormitori o campi di lavoro, non hanno alcuna possibilità di integrazione e i loro diritti sono scarsamente rispettati.
“Difficile, per i migranti cristiani, professare la propria fede”
Un grande numero di migranti emigra in modo irregolare, o entrando senza la documentazione necessaria (per esempio in Malesia o Thailandia) o rimanendo sul territorio oltre il tempo previsto dal visto e dal permesso di lavoro. Il contesto in cui i migranti si trovano è fortemente diversificato dal punto di vista culturale e religioso. I migranti cristiani sono una minoranza, e in alcune regioni, come il Medio Oriente, è difficile per loro professare la propria fede.
Conoscere meglio le dinamiche con cui le migrazioni hanno origine e si sviluppano, le pratiche di reclutamento, le condizioni di vita e di lavoro dei migranti e delle loro famiglie rimaste in patria, l’impatto delle migrazioni sui paesi di destinazione e sui paesi di origine, l’impatto sulla famiglia e sulla crescita dei figli, le possibilità che le migrazioni offrono per lo sviluppo della realtà locale, gli aspetti in cui i migranti sono resi più vulnerabili e le scelte che si possono adottare per colmare il deficit di dignità esperimentato dai migranti sono alcune delle preoccupazioni dello Scalabrini Migration Center. In tutti questi anni qualcosa è stato realizzato, molto resta da fare. Ma resta la convinzione che la direzione è quella giusta, perché intuita dallo stesso fondatore, e che non ci si può abbattere se “il cammino delle idee è di una lentezza esasperante”. Lo era anche ai tempi di Scalabrini.
Padre Graziano Battistella