Con Missão Paz il migrante tende la mano al migrante

In una sola settimana di aprile sono state centinaia le famiglie migranti aiutate a São Paulo dal programma “Cestas básicas” (cesti alimentari). Ce lo racconta padre Gonçalves

Padre Alfredo Gonçalves è un missionario scalabriniano e il vice-presidente del Servicio Pastoral de los Migrantes in Brasile (SPM). Con i suoi contributi racconta la situazione dei migranti in Brasile e le attività scalabriniane in loro sostegno. Come quella del programma Cestas básicas, i cesti alimentari di Missão Paz, la realtà scalabriniana di assistenza a migranti e rifugiati in Brasile, che hanno permesso alle famiglie di andare avanti durante la pandemia.

I servizi offerti ai migranti

«Nella settimana del 18-24 aprile 2021 Missão Paz ha assistito 460 famiglie di migranti con il suo programma di Cestas básicas (cesti alimentari) – nel periodo che va da marzo 2020 a marzo 2021, i cestini consegnati sono stati 9.331. Missão Paz è una nota opera scalabriniana divenuta con il tempo un riferimento per l’accoglienza degli stranieri nella capitale metropolitana di São Paulo in Brasile.

Una realtà che comprende una serie di servizi interconnessi: la Casa do Migrante, con più di cento postazioni per il pernottamento e i pasti; il Centro Pastoral e de Mediação dos Migrantes (CPMM), che si occupa di assistenza sociale, legale e psicologica, di documentazione e inserimento lavorativo; il Centro de Estudos Migratórios (CEM), che porta avanti la pubblicazione regolare della rivista Travessia e offre una biblioteca specializzata in migrazioni; la Igreja Nossa Senhora da Paz che, oltre ad essere una parrocchia territoriale, è storicamente una parrocchia personale per immigrati italiani e oggi anche una parrocchia personale per immigrati di lingua spagnola».

Una questione di vita o di morte

«Con la pandemia di covid-19 e le sue disastrose implicazioni per gli strati più vulnerabili della popolazione, l’impegno continua con alcuni servizi online, tra i limiti che la tragedia impone a tutta la società. Negli ultimi mesi Missão Paz si è in particolare dedicata ad alleviare la povertà e la fame delle diverse comunità che abitano questa gigantesca città e i suoi dintorni.

La crescente distribuzione di cesti alimentari, lungi dall’essere una semplice assistenza, è diventata una questione di vita o di morte. Tre aspetti di questo aiuto essenziale hanno attirato l’attenzione dei religiosi, dei funzionari e dei volontari coinvolti nel lavoro: la pandemia mette a nudo la condizione dei popoli sradicati e di quelli in diaspora; si intensifica la solidarietà delle famiglie immigrate da tempo stabilite nel paese; si impone la necessità di fare rete».

Un dramma che si acuisce

«Se la situazione dei migranti è precaria già in tempi normali, cosa si può dire delle loro lotte, sogni e speranze in mezzo a crisi, pestilenze e pandemie? Il coronavirus ha squarciato il velo delle apparenze per tutti, ma lo ha fatto in modo molto più drammatico per coloro che si trovano fuori dalla propria patria.

Il nemico invisibile ha ristretto ancora di più per gli stranieri la porta d’ingresso al cosiddetto mercato formale, che a sua volta apre altre porte a una serie di diritti legati alla cittadinanza. Ha anche aggravato la nudità di coloro che, con il loro fragile vascello, corrono dietro ai venti del capitale e raccolgono le briciole che cadono dalla tavola dei ricchi e degli abbienti.

A loro restano i “lavori saltuari” sempre incerti, temporanei ed effimeri dell’economia sommersa. Questa è di solito la prima vittima della crisi, trascinando con sé i lavoratori che cercano di equilibrarsi sulle sabbie mobili del caos».

L’esercito dei donatori

«Ma la pandemia, come ogni flagello, tira fuori anche il meglio degli esseri umani. Missão Paz, nel suo compito di assistere gli immigrati, specialmente i nuovi arrivati, mobilita un esercito anonimo di volontari e donatori. Senza la loro solidarietà, non ci sarebbero abbastanza cesti di cibo per aiutare così tante persone.

La cosa più interessante è rendersi conto che una buona parte dei donatori porta ferite e cicatrici di qualche esperienza di esodo, sia nella propria famiglia sia tra i propri amici e conoscenti. Alcuni sono immigrati storici di lunga data, altri hanno cercato il paese negli ultimi decenni. Stranieri che, dopo aver attraversato il limbo, raggiungono quelli che attualmente bussano alla porta».

La necessità di una risposta globale

«La furia travolgente del covid-19 è infine un forte segnale d’allarme. Questo tipo di contagio ha a che fare con la devastazione degli ecosistemi e la distruzione dell’ambiente. Il mondo selvaggio, con le sue sorprese e i suoi rischi nascosti, è sempre più vicino al mondo in cui ci muoviamo.

E questo rende chiaro che, poiché la minaccia è globale, anche la lotta deve essere globale. Cioè, contemporaneamente locale e globale. Da qui l’imperativo dello sforzo in rete, congiunto, organico, sinergico – dove i diversi attori e protagonisti agiscono in modo convergente».