Papa Paolo VI e la mobilità umana

Il 14 ottobre 2018 la canonizzazione di papa Paolo VI. Padre Gonçalves, vicario generale della congregazione scalabriniana, ripercorre brevemente la visione del pontefice sul fenomeno delle migrazioni

Il 14 ottobre 2018 papa Paolo VI e l’arcivescovo Oscar Romero saranno canonizzati in piazza San Pietro in una cerimonia presieduta da papa Francesco. I due personaggi, sebbene in ambiti diversi, sono accomunati dall’impegno per la giustizia, il diritto e la pace. Cogliamo dunque l’occasione per tornare, seppur brevemente, alla visione di Paolo VI sul fenomeno della mobilità umana.

Le migrazioni, “causa ed effetto dell’età postindustriale

Nel maggio 1978, pochi mesi prima della sua morte, Paolo VI approvò la lettera circolare Chiesa e mobilità umana, preparato dalla Pontificia commissione per la pastorale delle migrazioni e del turismo. Il documento chiarisce come la mobilità umana sia un fenomeno molto complesso e articolato, allo stesso tempo causa ed effetto dell’età tecnica e scientifica postindustriale; ora che l’economia è diventata planetaria e i confini tendono a cadere, viviamo tutti in un unico villaggio.

Prima di allora lo stesso pontefice aveva pubblicato due lettere apostoliche, sotto forma di motu proprio: la prima, sulla cura apostolica per i migranti (Pastoralis migratorum cura, 1969), la seconda, sulla pastorale della migrazione e del turismo (Apostolicae caritatis, 1970).

Per non parlare del suo decisivo contributo alla formulazione della Gaudium et Spes, documento del Concilio Vaticano II sulla Pastorale nel mondo di oggi, 1965, in cui si legge: «L’umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che progressivamente si estendono all’insieme del globo». (GS, 4). Due anni dopo, ha pubblicato l’enciclicaPopulorum Progressio(1967), insistendo sul fatto che «lo sviluppo è il nuovo nome della pace» (PP, 87).

Per Paolo VI identificare le cause della migrazione era fondamentale

Nell’analisi di Paolo VI colpisce, in primo luogo, la preoccupazione per l’accoglienza immediata e l’assistenza diretta ai migranti, che si tratti di servizi di carattere materiale o spirituale. La sua ulteriore preoccupazione di approfondire le radici della migrazione stessa è poi ancora più sorprendente.

Secondo quanto afferma nei suoi scritti, non è sufficiente aprire le porte a coloro che vengono in cerca di lavoro, alloggio, salute e istruzione. È necessario identificare le cause che hanno condotto queste persone a lasciare la terra natia. Per svelare le asimmetrie, le disparità socio-economiche e le ingiustizie che stanno dietro agli spostamenti di massa umani.

Una pastorale migratoria bidimensionale

Ciò si traduce in una pastorale migratoria bidimensionale: da un lato, accogliere, proteggere, promuovere e integrare (come ricordano i quattro verbi di papa Francesco); dall’altro, lottare contro le disuguaglianze sociali nazionali, regionali e internazionali che producono lo squilibrio, costringendo milioni di persone che cercano di passare da aree e paesi periferici a aree e paesi centrali. Il diritto di andare e venire deve corrispondere al diritto di vivere nel proprio paese in modo giusto e dignitoso.

Anche l’azione evangelizzatrice si rivela doppia, tenendo contemporaneamente conto dei luoghi di origine e di quelli di destinazione (oltre a quelli transito). Se è vero che i confini tendono a cadere e che tutti viviamo in un villaggio globale, è anche vero che solo le tecnologie, le informazioni e i capitali possono muoversi liberamente. I migranti, specialmente i meno qualificati dal punto di vista professionale, incontrano sempre più restrizioni, intolleranza, discriminazione e severe leggi sull’immigrazione. La voce del papa che sarà canonizzato rimane viva, forte, profetica e attuale.

Padre Alfredo J. Gonçalves, cs