Sotto gli occhi di tutti
Nell’inserto per il numero di luglio-agosto 2021 della rivista Scalabriniani, la Direzione generale presenta una riflessione sulla (in)visibilità dei migranti. Eccone alcuni estratti
Tra le frontiere che i migranti attraversano periodicamente nelle proprie vicissitudini c’è quella tra visibilità e invisibilità, due dimensioni costitutive dell’esperienza della mobilità. E anche complesse, soggette a strumentalizzazioni e letture distorte. Occorre quindi educare il proprio sguardo per interessarsi e comprendere le storie oltre il fenomeno, e le persone oltre le storie.
Nell’inserto per il numero di luglio-agosto 2021 della rivista Scalabriniani (pp. 19-22), la Direzione generale presenta una riflessione proprio sulla necessità di vedere per riconoscere la sorte dei fratelli e delle sorelle nel bisogno. Eccone alcuni estratti.
Visibilità e invisibilità
«I migranti appartengono ad entrambe le dimensioni. Quella della visibilità, a volte esagerata, a volte sbandierata, resa scandalo ma con l’obiettivo di togliere i migranti dalla vista. Sono resi più visibili perché poi diventino invisibili. E quella della invisibilità, perché visti troppe volte, perché non colpiscono più gli occhi. Oppure perché ignorati, dimenticati, tenuti nascosti. È il caso dei minori a volte accompagnati, altre volte non accompagnati.
Sono oltre 200mila i minori non accompagnati arrivati in Europa negli ultimi cinque anni, provenienti in maggioranza da paesi africani e dal Medio Oriente. E negli Stati Uniti, dopo l’elezione del presidente Biden, sono aumentati gli arrivi mensili di minori, minacciando un ripetersi dell’afflusso del 2019. (…) I giovani sono stati incontrati nella famigerata rotta balcanica, attraverso Grecia, Macedonia, Serbia, Bosnia, Kosovo, Albania e Romania, nelle esperienze di violenza e respingimento ai confini con la Croazia, o incarcerati in Bulgaria. Altri hanno raccontato le esperienze di respingimento a Oulx o Ventimiglia, ai confini tra Italia e Francia. (…)
Si tratta di un fenomeno visibile, che accade sotto gli occhi di tutti ma che viene trascurato, reso invisibile, non affrontato in modo adeguato soprattutto nella protezione di cui i minori hanno diritto e nelle conseguenze che dovranno affrontare in seguito».
Da Arica a Ventimiglia
«Ci piace sottolineare l’attenzione che i nostri missionari ad Arica hanno dato ai piccoli che con le famiglie hanno superato le restrizioni agli ingressi imposte dal Cile a causa della pandemia e che hanno trovato accoglienza nel centro di attenzione per i migranti.
Insieme allo Scalabrini International Migration Network (SIMN) e all’Instituto Católico Chileno de Migración (INCAMI) hanno fornito i piccoli di zaini pieni di materiale scolastico, quaderni, matite colorate, e altro e aiutati a inserirsi nel servizio educativo cileno. Per i più giovani, la migrazione viene camuffata come un’avventura, ma sarà un’avventura a lieto fine se qualcuno si accorge di loro e li sostiene.
E ci piace sottolineare iniziative come Umanità InInterRotta, un viaggio di giovani sulla rotta balcanica, guidati da padre Jonas Donazzolo, per vedere da vicino cosa affrontano i migranti nel loro cammino verso una speranza migliore, oppure l’iniziativa programmata per questa estate, “Incontrarsi ai confini”, con presenze a Trieste e Ventimiglia».
Visibilità desiderata e fuggita
«Visibilità e invisibilità rimangono dimensioni complesse nell’esperienza del migrante e della società in cui il migrante si trova. La visibilità sociale del migrante è spesso un fatto incontrovertibile, caratterizzato da segni esterni come la fisionomia, il modo di vestire, il modo di aggregarsi e di celebrare che i migranti vogliono mantenere come espressione della loro identità.
Allo stesso tempo è una visibilità da cui i migranti fuggono nel loro desiderio di integrarsi e di essere accettati come membri a pieno titolo nella società, nel loro desiderio di finire di essere considerati migranti. Il dramma della seconda generazione di migranti si gioca appunto nel desiderio di fuggire dalle origini per sentirsi a casa nel nuovo mondo e la paura di perdere l’aggancio con le origini per non perdere una dimensione dell’identità».
Un riconoscimento compiuto
«Da parte nostra, dobbiamo saper vedere e vedere da vicino, per riconoscere. (…) Il riconoscimento genera dovere morale e dice gratitudine. I migranti sono riconosciuti quando sono liberati dalla invisibilità forzata e quando diventano domanda etica che loro stessi riconoscono ed assumono.
L’esperienza di Missão Paz a San Paolo in Brasile, dove i migranti hanno partecipato alla solidarietà verso altri migranti nel bisogno durante la pandemia è una espressione di riconoscimento compiuto, in cui il migrante riconosce nell’esperienza dei nuovi arrivati la propria esperienza e la trasforma in gratitudine.
É nostro dovere di missionari saper coltivare la prossimità per vedere da vicino non solo con gli occhi, ma col cuore, e guidare verso il riconoscimento, memori delle parole del Signore: “Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre” (Mt 10,32)».