Tra ospitalità e ostilità
Padre Alfredo Gonçalves, missionario scalabriniano e vice-presidente del Servicio Pastoral de los Migrantes in Brasile (SPM), parla del libro “Stranieri residenti”, di Donatella Di Cesare
Secondo la filosofa italiana Donatella Di Cesare ospitalità e ostilità sono due facce della stessa medaglia (Cfr. Stranieri residenti. Una filosofia della migrazione). Quando c’è espansione socio-economica e bisogno di manodopera, gli immigrati sono di solito benvenuti. (…). Al contrario, in un’eventuale crisi umanitaria, quando i tassi di disoccupazione e sottoccupazione aumentano, allora i migranti vengono generalmente respinti.
Doppiamente rifiutati: all’origine, dalla privazione o dalla violenza; alla destinazione, dalla crescente discriminazione. Nel migliore dei casi è aperta la porta sul retro, per i servizi più sporchi e pesanti, più pericolosi e mal pagati.
Gli scarti della terra
Questo rifiuto di accogliere gli stranieri è stato aggravato dall’ascesa al potere dell’estrema destra in varie parti del mondo, sempre ammantata di nazionalismo populista. Da qui le frasi roboanti, come l’America per gli americani, l’Europa per gli europei; o Brasil acima de tudo, Deus acima de todos. Nel caso brasiliano, il nazionalismo si unisce alla strumentalizzazione del sacro. Ogni fanatismo – politico, ideologico o religioso – produce montagne di cadaveri. L’ospitalità accogliente cede il passo all’ostilità.
Entrambi i termini, ospitalità e ostilità, oscillano nei diversi modi di considerare la mobilità umana. (…) Sempre secondo l’autore, il migrante entra il più delle volte in rotta di collisione con lo stato-nazione di tipo occidentale. Quest’ultimo, infatti, pur basandosi sui diritti universali di ogni essere umano, compreso il diritto di andare e venire, limita la sua estensione a coloro che sono nati nel territorio. Il sangue, il luogo di nascita, il suolo e l’eredità sociale, politica e storica determinano il monopolio assoluto dello spazio geografico.
La critica di Di Cesare a questo sistema stato-centrico diventa forte: da quando gli stati-nazione si sono divisi il pianeta, tra un confine e l’altro si è prodotto un scarto della terra che può essere impunemente calpestato e che, tuttavia, continua a spuntare e crescere: sono gli apolidi, i senza città, i rifugiati, intrappolati tra i confini nazionali, che appaiono come soggetti scomodi, corpi strani, esseri indesiderabili.
Lo smascheramento dello stato
In questa prospettiva, il migrante smaschera lo stato. Dal bordo esterno, mette in discussione il suo fondamento, punta il dito contro la discriminazione, ricorda lo stato della sua costituzione storica, non crede alla sua purezza mitica. E così lo costringe a ripensare se stesso. In questo senso, la migrazione porta con sé una carica sovversiva.
Tende a mettere in discussione i limiti arbitrariamente tracciati, allo stesso tempo che supera la patria di questa o quella nazione. Il suo sogno è di andare oltre le frontiere – con l’obiettivo di trovare altrove ciò che gli nega la sua patria.