La pandemia come pretesto per limitare la migrazione
La riflessione di padre Alfredo Gonçalves, missionario scalabriniano e vice-presidente del Servicio Pastoral de los Migrantes in Brasile (SPM)
La pandemia di covid-19 ha paralizzato persone, imprese, beni e investimenti. Ha anche paralizzato un numero non trascurabile di migranti in tutto il mondo. Gli studi in America Latina e nei Caraibi, per esempio, parlano di questo fenomeno come “imobilidade forzada”, “fronteiras engesadas” o “fronteiras congeladas”.
Numerosi gruppi di migranti si sono improvvisamente trovati intrappolati negli spazi di frontiera tra due o più paesi, senza possibilità di andare avanti e senza condizioni per tornare. Tenuti come prigionieri in una sorta di limbo di attesa indefinita. Non c’è bisogno di sottolineare le condizioni estremamente precarie di questi campi, alcuni dei quali sono addirittura militarizzati.
La situazione nelle varie parti del mondo
Gli esempi sono più o meno noti. Le carovane provenienti dall’America centrale e dai Caraibi si sono trovate detenute alle frontiere che dividono i loro paesi dal Costa Rica, dal Guatemala, dal Messico e dagli Stati Uniti. Non bisogna dimenticare che in questo caso, gli Stati Uniti stanno facendo pressione sui paesi centroamericani e caraibici per fermare le carovane di migranti che marciano verso nord. Già i migranti del Sud America che si dirigono anch’essi verso il nord, molti dei quali intendevano unirsi a queste carovane, sono finiti parcheggiati in Ecuador e Panama.
Un gran numero di persone in fuga dall’Africa subsahariana, segnata da violenza, povertà, miseria e fame, dopo l’ardua traversata del deserto e il tentativo di attraversare la rotta mediterranea verso i paesi europei, è finito ammassato in degradanti campi profughi in Libia.
Una situazione simile può essere osservata per molti altri fuggitivi sia dall’Africa sia dal Medio Oriente che, puntando all’Europa attraverso la rotta balcanica, occupano oggi i campi in Turchia e Grecia. L’isola di Bataan, in Indonesia, a sua volta, è divenuta il limbo di attesa per i migranti asiatici che avevano come orizzonte la Thailandia, la Malesia, Singapore… Migranti dal subcontinente indiano aspettano in Sri Lanka il passaggio verso gli Emirati Arabi Uniti.
Lo stesso vale per le migrazioni interne o intraregionali. Nel subcontinente latinoamericano, così come nei continenti africano e asiatico, le cose si ripetono allo stesso modo. Le frontiere sono state chiuse sia per i migranti o i rifugiati definitivi, sia per i lavoratori temporanei. Il risultato è la crescita della pressione migratoria su limiti geografici o territoriali, come Pacaraima (Brasile) e Cúcuta (Colombia), un limbo per i venezuelani. Questa pressione è tanto più clamorosa in quanto le vie di migrazione legale (attraverso l’aeroporto, con regolare documentazione) sono state ridotte al minimo o interrotte del tutto.
Tre inevitabili conseguenze
Le frontiere chiuse e paralizzate causano tre conseguenze inevitabili. La prima ha a che fare con l’emergenza, la visibilità e la persecuzione dei milioni di migranti senza documenti nel mondo. Il caso degli Stati Uniti diventa emblematico. Sotto l’amministrazione di Joe Biden, ancor più che sotto Donald Trump, il numero di voli per la deportazione degli stranieri “irregolari” è aumentato considerevolmente. Molti di questi voli sono già atterrati all’aeroporto di Confins, nel Minas Gerais.
La seconda conseguenza è il riciclaggio della famigerata legge sulla sicurezza nazionale per limitare sempre più il diritto di andare e venire. Quindi la pandemia stessa diventa un pretesto per la rinascita dell’intolleranza, della discriminazione e della xenofobia – che porta all’indurimento della legislazione migratoria. La crisi e il caos sanitario aggravano la situazione dei lavoratori più vulnerabili. L’ombra pandemica si trasforma in un incubo pandemico per queste moltitudini in diaspora.
La terza conseguenza è ovviamente legata alle due precedenti. Il grado di selettività di coloro che cercano di entrare in un altro paese cresce e si perfeziona. Un divario ancora maggiore si apre tra i “desiderabili” e gli “indesiderabili”. Mentre questi ultimi sono così privi di qualifiche, i primi godono del privilegio di essere accolti come tecnici o professionisti. La pandemia ha rafforzato le leggi anti-immigrazione, che sbarrano ulteriormente porte e sogni.