“Mentre concentra ricchezza, la politica economica del consumo globale acuisce l’esclusione sociale”
Un’asimmetria, sostiene lo scalabriniano padre Alfredo Gonçalves, che causa non solo disoccupazione ma anche flussi migratori sempre più diversificati e complessi
Il 28 novembre 2018 Salvini e il governo italiano hanno detto no al Global Compact for Migration. La cosiddetta New York Declaration for Refugees and Migrants è stata adottata e firmata da non meno di 193 paesi durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 settembre 2016.
Due gli obiettivi del Compact: dare al fenomeno della mobilità umana un accordo globale e integrale, tenendo conto delle diverse dimensioni della migrazione; consolidare una maggiore collaborazione internazionale sul tema. La posta in gioco è la positiva articolazione tra paesi di origine e paesi di destinazione delle migrazioni. Il 10 gennaio 2019, il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha fatto lo stesso, seguendo da vicino l’esempio di intolleranza ed esclusione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
Privi di risorse per aiutare
Salvini tuttavia non ha semplicemente rifiutato il Global Compact. La Camera ha infatti approvato la riduzione a zero del bilancio per l’accoglienza, la sistemazione e l’inserimento di immigrati irregolari, riservando solo una piccola percentuale per coprire le spese di coloro che desiderano tornare al luogo di origine. Dal 1 dicembre 2018 i cosiddetti centri di accoglienza non sono più in grado di portare avanti il proprio il lavoro quotidiano, lasciando gli immigrati a se stessi.
Di fronte a questa situazione grave e insolita, la Conferenza episcopale italiana CEI ha apertamente espresso la propria preoccupazione. Il timore è che altre entità che aiutano gli immigrati – come Caritas Internationalis, entità, organizzazioni non governative, pastorali sociali, diocesi e parrocchie – siano oberati di lavoro e privati di risorse adeguate per incrementare l’attività. È in atto un tentativo di disincentivare qualsiasi tipo di migrazione.
Le cause della mobilità: povertà, fame e conflitti
Il nazionalismo populista prevale con forza e si estende a un certo numero di altri paesi, compresi quelli che hanno firmato la Dichiarazione di cui sopra nel 2016. Una situazione in netto contrasto con le rispettive costituzioni nazionali. Queste infatti garantiscono il diritto di asilo a coloro che si trovano in una situazione di pericolo provato e imminente.
Al giorno d’oggi il rischio per quei migranti e rifugiati che ritornano nel paese di origine è reale e concreto in tutto il mondo. Povertà, miseria e fame da un lato, violenza, conflitti e guerre dall’altro, li mettono in fuga. Tornare indietro significa letteralmente esporsi a persecuzioni, a incarcerazioni e persino alla morte. Ma soprattutto, esporre la propria famiglia a ostilità e discriminazione permanenti.
Sui confini degli stati la pressione è in aumento
La voragine tra il vertice e la base della piramide sociale diventa sempre più alta e scandalosa. Mentre la politica economica della produzione, del commercio e del consumo globale concentra reddito e ricchezza, allo stesso tempo acuisce l’esclusione sociale. Un’asimmetria che causa non solo disoccupazione, sottoccupazione e condizioni precarie in alcuni paesi ma anche flussi sempre più diversificati e complessi di migranti.
La contraddizione è evidente a occhio nudo: basta guardare alle migliaia di persone sui confini che dividono due o più paesi. Una pressione che tende a crescere nella proporzione esatta in cui diminuisce la possibilità di una migrazione legale: col crescere delle disparità socioeconomiche, insieme alla politica di rifiuto del diritto di migrare, aumenta ulteriormente la visibilità del fenomeno migratorio.
Una presa di posizione globale è necessaria
Di più: richiede una presa di posizione globale. Come abbiamo visto, tuttavia, il Global Compact è stato sistematicamente ignorato. Ugualmente dimenticato è l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, finalizzato a preservare l’ambiente e perseguire un’economia sostenibile. Il trattato è stato firmato da 175 paesi nell’aprile 2016 e ratificato a New York all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Le distorsioni del sistema economico, combinate con l’indifferenza al riscaldamento globale, spingono sempre più persone e famiglie a una fuga disperata. Ciò significa che entrambi i problemi devono essere affrontati insieme. Combattere le discrepanze socioeconomiche e frenare la devastazione delle risorse naturali sono due facce della stessa medaglia. L’una e l’altra, inoltre, dovrebbero contribuire non solo alla garanzia del diritto di andare e venire, ma anche al rispetto per il diritto di rimanere nella propria terra con giustizia e dignità, come veri cittadini.
Padre Alfredo J. Gonçalves, cs