Cercare, ascoltare e narrare la verità”: ecco il messaggio dei tre istituti della famiglia scalabriniana

Dal 31 agosto al 1 settembre 2019 si è svolto a Villabassa l’incontro annuale che vede riunite le direzioni generali dei missionari scalabriniani, delle suore missionarie scalabriniane e delle missionarie secolari scalabriniane

Si è svolto dal 31 agosto al 1 settembre 2019 nella Casa alpina di Villabassa, in provincia di Bolzano, l’incontro annuale dei tre istituti della famiglia scalabriniana, cioè dei missionari scalabriniani, delle suore missionarie scalabriniane e delle missionarie secolari scalabriniane. Un appuntamento necessario a riflettere su come restare fedeli a quella consacrazione a Dio nel servizio ai migranti che è frutto dell’ispirazione del beato Giovanni Battista Scalabrini.

Al termine dei lavori le direzioni generali, nelle persone dei superiori generali padre Leonir Chiarello, cs, e suor Neusa de Fatima Mariano, mscs, e della responsabile generale Regina Widmann, mss (quest’ultima eletta di recente durante la VI assemblea generale delle missionarie secolari), hanno pubblicato un messaggio dal titolo Cercare, ascoltare e narrare la verità.

Perché non siamo persuasivi?

«Stiamo vivendo un tempo in cui vecchi e nuovi conflitti sradicano migliaia di persone dalle loro case e dalla loro terra e li obbligano e cercare sicurezza altrove – si legge nel messaggio della famiglia scalabriniana – Abbiamo provato a convincere che i migranti non sono un peso ma una risorsa; che non vanno trattati solo come oggetto di assistenza ma considerati protagonisti nella società; che non sono solo loro a doversi integrare ma anche noi dobbiamo integrarci a loro; che dobbiamo favorire il dialogo interculturale ed apprezzare quanto ci possono insegnare. Si tratta di concettualizzazioni corrette. Ma allora, perché non siamo persuasivi?».

Il messaggio delle famiglia scalabriniana prende spunto da questa domanda per suggerire tre orientamenti sui quali lavorare per rendere ancor più efficace il servizio all’umanità in movimento. Si tratta di tre piste che fanno luce su altrettanti aspetti del racconto migratorio spesso disattesi e sui quali occorre invece tornare a puntare non per riportare una vittoria nel «conflitto di retoriche» ma per dare testimonianza alla verità. Vediamoli uno per uno.

Tre suggerimenti su come narrare

La modalità narrativa suggerita dal messaggio della famiglia scalabriniana è quella che privilegia i fatti e la testimonianza, preferendoli alle parole, necessarie ma spesso insufficienti e suscettibili di essere confuse nel caos mediatico.

«La nostra argomentazione deve consistere di fatti – si legge ancora nel documento Dobbiamo costruire sempre di più una retorica delle opere, del servizio concreto, dell’offrire possibilità, stabilità, futuro. (…) Là dove siamo, cerchiamo di lavorare perché si creino le condizioni per cui tutti si sentano a casa, creando comunione nei contesti dove incontriamo i migranti e dove offriamo protezione e promozione».

Deve inoltre trattarsi di una narrazione in cui a parlare sono i migranti, troppo spesso allontanati dai canali comunicativi a favore di quanti dicono di parlare per loro e poi ne sfruttano le difficoltà: «Il conflitto di retoriche che domina il discorso sulle migrazioni è sostanzialmente privo della voce dei migranti. (…) Tacciono quelli che di migrazione vivono: i trafficanti e gli imprenditori. Tacciono soprattutto i migranti, perché nessuno vuole sentire la loro voce. È nostro dovere creare occasioni perché i migranti raccontino e perché qualcuno ascolti, perché noi possiamo ascoltare».

Infine, l’offerta del servizio a Dio: «Quando il conflitto di retoriche si è infuocato, quando la cacofonia è aumentata, quando tutti parlano e nessuno ascolta, la nostra voce, pur se flebile, sarà sentita se ha il timbro della voce di Dio. Per acquistare questo timbro dobbiamo portare la narrazione davanti a Dio, là dove le differenze si stemperano, dove i muri si fanno porosi, dove i confini si sbiadiscono, dove nessuno è escluso».